(...) «Mi sembra di parlare di cose poco rilevanti o, peggio, di raccontare un fallimento — il fallimento di un ideale in cui ho sempre creduto e continuo a credere — o, ancora, di descrivere un modo “virtuale”… irrealizzabile e forse irrealizzabile». Antonio scrive queste cose subito, nella seconda pagina della nota introduttiva. Poi continua: «Quasi sempre, a un certo punto, mi viene rivolta una domanda che suona più o meno: “ma tutto questo serve a qualcosa?”».
Marchesi contrappone gli attivisti idealisti ai “realisti”, quelli che, scrive, «fanno notare che i “i diritti umani vanno bene in teoria ma la politica, interna e internazionale, è un’altra cosa”».
In realtà io penso che chi si batte per i diritti umani sia di solito molto più pragmatico di chi agisce — o dice di agire — in nome della realpolitik. La guerra in Ucraina sta lì a dimostrarlo. I difensori dei diritti umani denunciano da decenni i crimini di Putin e del suo regime. I ‘realisti’ hanno più volte replicato che sì, certo gli ideali sono importanti, ma lasciateci comprare il gas russo, facciamo affari con Putin e vedrete che l’economia cresce, si sta meglio tutti e tutto si aggiusta.
Ed è solo un esempio dei tanti casi in cui gli idealisti che difendono i diritti umani hanno capito le cose molto prima e molto meglio dei ‘realisti’, che navigano spesso a vista e poi vanno a sbattere.
La domanda però resta: l’impegno in difesa dei diritti umani serve a qualcosa? La risposta di Marchesi è in parte in questo libro e credo ancor più nella sua vita professionale e di attivista.