Sandro Baldoni ha firmato alcune campagne pubblicitarie che ancora vengono citate, a distanza di qualche decennio. A partire dal bambino con pugnetto chiuso e headline ‘La rivoluzione non russa’ del manifesto. Ma dopo 20 anni (e rotti) ‘Dalla parte del torto’, per riprendere un altro annuncio nato dalla sua penna, Sandro Baldoni della pubblicità si è stancato.
Autore, sceneggiatore, regista
Preferisce scrivere (e firmare la regia) per il cinema, come ha fatto con alcune commedie, da ‘Strane storie’ a ‘Consigli per gli acquisti’, e con il documentario ‘La botta grossa’, sul terremoto in Umbria. E adesso debutta nel romanzo. Lo fa con ‘Occhi selvaggi‘, storia di formazione del piccolo Marco Primavera, in un paesino di montagna umbro degli anni ’60.
Il natio borgo
Anche lei è umbro, è nato ad Assisi…
“Poi mio padre è stato trasferito e siamo andati a stare in un paesino di montagna degli Appennini. Ho vissuto il passaggio dalla città a una cultura molto chiusa, dove il rapporto uomo e animali era forte, di confronto e anche di scontro. Quel mondo all’inizio mi sembrava ostile, ma aveva dentro un’idea di comunità feconda, come una grande famiglia”.
Quanta autobiografia c’è in ‘Occhi selvaggi’?
“Quando ho cominciato, avevo in testa una storia parzialmente autobiografica. Ambientata negli anni Sessanta, un periodo un po’ di cerniera fra la società del dopoguerra e i primi esperimenti di informatica con Olivetti, o i primi momenti di emancipazione delle donne. Un tempo di generazione di cose nuove. Tutto visto da lassù, da quel paesino abbarbicato sulla montagna, come una eco lontana”.
Com’erano i paesi allora?
“C’erano due automobili e il resto era affidato agli asini, che facevano su e giù per i 152 scalini del paese. Le famiglie si chiedevano consigli sui nomi da dare ai figli, dove vivevo io c’era davvero la sartina Temistocle che ho messo anche nel libro. Non erano ancora diventati borghi”.
Che cosa intende?
“I borghi oggi sono quei luoghi dove si tengono i premi letterari e che vivono due mesi l’anno. È il declino della civiltà rurale: dominano Amazon e Ikea, mancano i servizi essenziali come la sanità o la scuola superiore. Quello è stato il pensiero generatore”.
Dal “pensiero generatore”, poi come è andato avanti nella scrittura?
“Cercavo la musica, un ritmo leggibile per i contemporanei, e il romanzo è diventato una ballata blues. ‘Occhi selvaggi’ è la ricerca di fiutare la vita nell’aria, di trovare un ritmo che rendesse non noiosa una cosa che succedeva 50 anni fa. La prima domanda che mi sono fatto è stata: chi vuoi che legga la storia di un bambino negli anni Sessanta in mezzo alle montagne?”.