Sandrine Collette con E sempre le foreste scrive un romanzo straordinario ma dolorosissimo, che spinge l'umanità a interrogarsi su se stessa e sui propri limiti
A pochi anni di distanza da Dopo l'onda, straordinario romanzo sulla famiglia e la sopravvivenza in un mondo spacciato, Sandrine Collette torna a riempire le pagine di un romanzo con una feroce accusa al presente, disegnando i contorni di una storia che sembra appartenere al genere distopico apocalittico di cui fanno parte capolavori della letteratura come La strada di Cormac McCarthy. Edito da Edizioni E/O, E sempre le foreste è un romanzo che non offre punti di riferimento, né spaziali né temporali: è sospeso in una adimensionalità che è tuttavia universale e guarda in faccia l'umanità e tutti i suoi difetti.
Di cosa parla "E sempre le foreste"?
In un luogo non meglio identificato della Terra c'è una foresta, un grande polmone che respira lontano dai soliti percorsi del progresso e della corsa al capitalismo. È in questo scenario di case di pietra raccolte intorno a una minuscola piazza, lontano dalla Grande Città, che Corentin viene abbandonato da una madre che non l'ha mai voluto. Il bambino viene lasciato sulla porta della casa della bisnonna Augustine, una donna dura come la vita che ha condotto, in sintonia con le foreste che le si chiudono intorno. In questo ambiente che sembra lontano da tutto quello che il bambino conosce, Corentin ricomincia a vivere, a sperare, ad avere ambizioni. Finché, sulle soglie dell'età adulto, si reca a studiare proprio nella Grande Città e pian piano il suo cuore si allontana dalle Foreste, si allontana da Augustine e dalle promesse fatte all'anziana donna. Corentin conosce una nuova vita, stringe amicizie che non credeva possibili e passa il suo tempo ad ubriacarsi con gli amici nelle catacombe, per sfuggire a un caldo che si fa sempre più opprimente. Ed è proprio mentre è nascosto nel sottosuolo di una Terra sofferente che avviene La cosa, un cataclisma forte come l'alito di un drago che uccide e distrugge ogni cosa. Tra i pochi sopravvissuti al mondo Corentin non ha che una scelta: cercare di tornare a quelle Foreste, ritrovare il proprio centro nello sguardo affettuoso della bisnonna, per inseguire una speranza che sembra una vacua utopia in un mondo morente.
Un romanzo durissimo, ma necessario
Non c'è dubbio che una delle maggiori qualità di Sandrine Collette sia la capacità di dipingere scenari apocalittici attraverso una prosa elegantissima, ma mai pedante. Il suo stile evocativo e insieme poetico riesce a mentenere intatto un ritmo inesorabile, che spinge il lettore a non allontanarsi mai troppo dalle pagine. In una sorta di morboso voyeurismo, con quel tipo di curiosità oscura che spinge tutti a guardare verso qualcosa di terribile e brutale, il lettore viene condotto nella vita di Corentin, avvertendo sin da subito una nota stonata nella storia di un bambino non voluto da una madre assente ed egoista.
La prima parte del romanzo - quella in cui La cosa non si è ancora manifestata - è una sorta di preparazione alla tragedia, un preambolo che serve alla scrittrice a pennellare il ritratto del protagonista mettendolo già all'interno di un quadro fatto solo con la scala dei grigi, come suggerisce anche la copertina del romanzo. È il primo atto di una tragedia inevitabile, che si affaccia già alle prime pagine e chi legge non può fare a meno di sentire il peso di una sorta di predestinazione.
E sempre le foreste è un romanzo durissimo, un romanzo che non si risparmia nulla e che vuole indagare non tanto il cambiamento climatico che il presente sta affrontando, ma il nucleo stesso dell'umanità, quel centro gravitazionale che è fatto di istinti e paure, che nessuna narrativa riesce a romanticizzare. Sandrine Collette regala al lettore un mondo sommerso di cenere e popolato da cadaveri riversi sulla strada: un teatro di violenza e brutalità, dove non esiste legge e non esiste onore. Dove persino l'eroe è un essere abietto, pieno di difetti, che si macchia le mani di sangue e diventa la personificazione dei suoi incubi peggiori. Non c'è alcuna vera consolazione in questo romanzo, nessuna smussatura degli angoli più spigolosi di un'umanità che l'autrice attacca: troppo indifferente, troppo egoista, troppo poco interessata a ciò che non sia la più pura individualità. Con richiami a Furore di John Steinbeck e ad alcuni stilemi del genere più prettamente horror, E sempre le foreste è un romanzo pensato per fare male, per aprire ferite nella coscienza di chi legge. Un romanzo straordinario, necessario, che rimane a lungo a galleggiare nella morale dei lettori, mettendoli davanti alle proprie ansie e ai propri limiti.