Indagare la Shoah senza averla vissuta sulla propria pelle è impresa ardua e pericolosa. Anne Berest con “La cartolina” ci riesce, immergendosi nel passato della propria famiglia e nella sua stessa identità ebraica tenuta troppo a lungo a distanza. Narrazione e inchiesta vera e propria si intrecciano, sulle tracce dell’unica antenata sopravvissuta, la nonna materna Myriam
Il passato non è qualcosa che sfuma indistinto, sfuggendo alla memoria, ma segna l’oggi, ineluttabilmente. Questa è sola una delle cose che ci fa comprendere uno dei più bei romanzi pubblicati in questo 2022, un’esperienza di lettura appagante e originale, che va a collocarsi fra i risultati più alti dell’ultimo ventennio nell’ambito dei romanzi che provano a indagare la Shoah, scritti da autori che naturalmente non l’hanno vissuta direttamente sulla propria pelle. Il pensiero va a Gli scomparsi di Daniel Mendelsohn (prima Neri Pozza, adesso Einaudi), a Lezioni di Tenebra di Helena Janczek, a Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer e a La storia dell’amore di Nicole Krauss (questi ultimi tre nel catalogo Guanda). Accanto a questi nomi non è una bestemmia affiancare quello di Anne Berest, autrice de La cartolina (456 pagine, 19 euro), in libreria per le edizioni e/o, grazie alla traduzione di Alberto Bracci Testasecca, voce italiana di tanti successi d’Oltralpe lanciati in Italia dalla casa editrice romana.
L’antisemitismo di ieri e di oggi
Narrazione e inchiesta sono la miscela perfetta di un romanzo inevitabilmente carico di sentimenti, perché Anne Berest – curiosamente in contemporanea in libreria con un altro libro, scritto assieme alla sorella Claire, Gabriële per Neri Pozza; e uno scambio epistolare con la sorella costituisce la terza parte de La cartolina – scava a fondo nelle proprie radici familiari, narrando cinque generazioni di avi (i Rabinovitch) in vari angoli d’Europa e non solo, con una certa attenzione al cuore della Mitteleuropa e alla Francia, naturalmente, che nei primi decenni del ventesimo secolo aveva accolto tantissimi ebrei – come gli avi del ramo materno e che alla distanza si rivelò tremendamente antisemita. La riflessione di Anne Berest si allarga anche al presente, al razzismo e all’antisemitismo di oggi, a piccole e grandi discriminazioni, come quelle che subisce la figlia della scrittrice e sono ulteriore linfa per questo suo progetto letterario.
Un messaggio in codice? Uno scherzo macabro?
La cartolina, come nei romanzi russi, comincia con «una storia d’amore contrastata», protagonista il bisnonno materno dell’autrice, Ephraim. In realtà il libro ha un prologo nel presente, nei primi anni duemila, quando la madre di Anne Berest riceve una cartolina, presumibilmente scritta una decina d’anni prima, in cui sono scritti soltanto quattro nomi: Ephraim, Emma, Noemi e e Jacques (figli dei primi due), avi uccisi ad Auschwitz. Un messaggio in codice? Uno scherzo macabro? Il passato che ritorna, in ogni caso. È la figlia, Anne, a ripercorrere a ritroso i passi dei propri familiari e, in qualche modo, a riavvicinarsi alla cultura ebraica, nella quale comunque non è cresciuta, con un immacolato curriculum laico. Fino al momento di scrivere. Lettere, diari, documenti, interviste a testimoni e sopravvissuti, cresce così strada facendo – anche alle ricerche della madre di Anne, Leila – una storia crudele e affascinante, un romanzo cucito su persone esistite e su storie realmente accadute, col buco nero della seconda guerra mondiale che azzanna quasi tutti. Fughe, amori, separazioni, fino alla persecuzione degli ebrei in mezza Europa scandiscono una saga, che però è anche racconto personalissimo, viaggio interiore di Anne Berest nelle ragioni e tradizioni dell’ebraismo.
Affresco del mondo perduto
Anne si mette sulle tracce di Myriam, l’unica figlia di Ephraim ed Emma sopravvissuta alla Shoah. Sua nonna. È la quarta e ultima parte del romanzo, il compimento di tutto. Donna della Resistenza, scampata ai lager, Myriam è probabilmente il personaggio più riuscito, la persona dall’anima più complessa, sempre consumata dai sensi di colpa, allontanatasi anche dalla figlia. La nipote chiuderà il cerchio (ai lettori il compito di scoprire se, in fondo, sarà svelata l’identità del mittente della cartolina…), con un grande affresco del mondo perduto, cancellato dai nazisti e dai loro fiancheggiatori, eppure vivo, vivissimo, grazie all’arte e alla letteratura. Il suo non è un piccolo contributo alla causa. In un pianeta che sta perdendo gli ultimi testimoni diretti dello sterminio messo in atto nella seconda guerra mondiale, è la generazione di Anne Berest chiamata a fare la differenza.