Carla di punto in bianco molla tutto e si trasferisce a Los Angeles, con il marito e il figlio neonato; sperduta in un Paese di cui non conosce la lingua, diventa l'ombra di sé stessa. È l'esperienza vissuta dalla scrittrice. Che ne esce attraverso un «atto di disubbidienza».
Caterina Venturini: un posto fisso d'insegnamento in un liceo romano, due romanzi pubblicati e una sceneggiatura scritta per il regista Daniele Luchetti, poi più o meno di punto in bianco molla tutto e si trasferisce con il marito e un figlio neonato a Los Angeles dove, come lei dice nel suo romanzo QUCHI. Quello che ho ingoiato , diventa un'ombra. Non ha più un lavoro, una lingua, e forse nemmeno un'identità. Ci è voluto questo libro per ricostruirla? «Mi sono resa conto, una volta scritto questo terzo libro, che quello che da sempre mi interessa è cogliere i personaggi in momenti cruciali in cui - c'è proprio un'espressione idiomatica per questo - "diventiamo l'ombra di noi stessi" ed è in quell'ombra che chi scrive può guardare attraverso, meglio che in un corpo sano e compatto. Credo inoltre che ogni romanzo sia il tentativo di ricostituire in una forma qualcosa che nella realtà si è rotto o è andato perso. E dunque sì, in questo libro si va a ricostruire l'identità di Carla, la mia alter ego, che arrivando in un nuovo Paese, come succede a molti migranti, è diventata un'ombra perché non è più in grado di dire sé stessa in una lingua che non conosce. E sembra scomparire». Ma nel libro, Carla Longhi, la sua alter ego, più che scomparire sembra sdoppiarsi nel dialogo costante con la sua agente letteraria e con l'analista, un po' come in un film di Woody Allen, cioè con lo stesso tipo di autoironia svelante. Tre voci per farne una? «Sì, la voce di Carla, come quella di ognuno di noi, è fatta in realtà di tante altre voci che si parlano tra loro, l'una sopra l'altra, si contraddicono addirittura dando vita a un soggetto che è la somma di tanti altri. La voce di Carla si impasta allora non solo con la voce della sua agente letteraria e della sua psicanalista, ma anche con quella dei suoi genitori, di suo marito, delle ex compagne di studi femministi: porta insomma inscritte nelle sue corde, le voci degli altri. È un soggetto fratturato, ammaccato dalla voce e da uno sguardo altrui che sposta continuamente il senso e il punto di vista in modo ironico, se non sarcastico. Inoltre, in questo dare la precedenza alla visione degli altri, ho voluto evidenziare quanto in questo momento storico più che nei precedenti, ci sia un'ossessione di piacere e compiacere». (...)