Ottantacinque anni sono certo tempo di bilanci. Goffredo Fofi li ha compiuti il 15 aprile scorso e, per festeggiarli, ha licenziato, uno a poca distanza dall'altro, due volumetti sospesi tra memoria e presente, ricordi di una vita e dei tanti compagni di strada che hanno fatto di lui uno dei maggiori testimoni del secondo Novecento. Uomini e donne, però, a volte scomparsi troppo presto, tanto che la memoria della perdita non riesce ancora a farsi lutto, permanendo come infimo arbitrio del nulla nel profondo della coscienza. E tuttavia memoria che, allo stesso tempo, è capace di stagliarsi come quella di maestri con i quali si è percorso un tratto significativo di quella discontinuità effimera del vuoto che è l'esistenza. È ad essi che è dedicato il più recente tra i due volumetti, mandato in libreria dalle Edizioni E/O con il titolo di Cari agli dei . Ritratti intensi, a volte in pagine commoventi venate da vivo dolore e dalla non nascosta inquietudine dell'autore, tra i quali spiccano alcuni dedicati a uomini e donne nati nella nostra regione. Personalità molto note, intellettuali di vaglia, punti fermi per la cultura nazionale dei decenni che abbiamo alle spalle. Ma anche attivisti ed operatori del sociale, ignoti ai più, incrociati da Fofi in virtù dello specifico modo d'essere della sua militanza culturale e politica. Emblematico è così il ritratto di Teresa Colì, paraplegica che a Lecce è stata l'anima e il motore di una casa-famiglia del movimento di Capodarco, una rete cattolica di gruppi d'intervento sociale ma, agli occhi di Fofi, «sostanzialmente socialista dove dei volontari si occupa di disabili, malati, di infanzia ed adolescenza a rischio, di immigrati». Il mondo a cui lui si è avvicinato dopo la deriva, «tra simpatie estremistiche e intellettualismi "parigini"», delle speranze del lungo '68 italiano, di cui fu una delle personalità più significative, e la sconfitta causata da un nemico «molto più forte di quanto non sospettassimo», perché «si annidava anche nei nostri opportunismi». In ogni caso, maestri e compagni di vita da cui apprendere perché testimonianze piene e complesse di umanità, oneste e singolari declinazioni di essa. Testimonianze «radicali» di quel nucleo ribollente e fecondo che oggi il prevalere di istanze narcisistiche tende ad adulterare e standardizzare, in un gioco al massacro di cancellazione dell'altro. Figure come la foggiana Maria Teresa Di Lascia, il cui ritratto nel libro è percorso da una malinconia profonda per non averla frequentata, scrittrice, deputata e vicesegretaria del Partito Radicale, attivista ambientalista e per i diritti civili, fondatrice di Nessuno Tocchi Caino, strumento per portare avanti la battaglia contro l'immensa barbarie della pena di morte. O come Rocco Scotellaro, ricordato con Leonardo Sinisgalli e Rocco Mazzarone, uomini che nella non riducibile complessità del loro modo d'essere valicavano i limiti delle classificazioni usuali e della sociologia accademica e che mettevano in discussione gli strumenti analitici della sinistra tradizionale, in un quadro di rinvii ad una lettura «autentica», non zdanoviana, della lezione di Antonio Gramsci che «non separa mestiere e cultura», «essendo (loro) insieme homo faber e homo sapiens». E, infine, Alessandro Leogrande, per Fofi la più cospicua incarnazione tra i recentissimi di quelle figure (Danilo Dolci, Aldo Capitini, Renato Panzieri, Piergiorgio Bellocchio) di promotori di riviste e di comunità intellettuali, che pur sotto forma di gruppi minoritari, ma senza perciò essere elitari, hanno riscattato il panorama intellettuale nazionale della tendenza, sempre presente, alla mediocrità ed al conformismo. Un ritratto potente, quello a lui dedicato, e intensamente «vero», tutto costruito intorno ai due suoi grandi amori, Salvemini, «che è stato, per Alessandro, un modello nel modo di ragionare e di agire, nel modo di intendere la politica», e la sua città, Taranto, che non ha mai lasciato anche quando è andato a vivere altrove. Alessandro, che è stato «un giornalista, un narratore», un autore di, bellissima definizione, «perlustrazioni divaganti».