Gi anni feroci, bellissimi e disperanti delle certezze assolute e dei cambiamenti vagheggiati prima e dopo il '68 tornano nel memoir di Goffredo Fofi, Cari agli dèi, articolato per ritratti. Sono una trentina, rapidi, intensi, contrastati come disegni a carboncino, raffigurano personaggi accomunati nella sorte indicata da Menandro con la consolatoria epigrafe a un suo canto «Muor giovane colui che gli dèi amano». Ad avvicinarli è il fatto di aver incrociato la traiettoria di Fofi, una delle teste pensanti più libere e atipiche in circolazione. Quello che si compone in queste pagine è dunque il personalissimo pantheon intellettuale, amicale e affettivo di Goffredo Fofi, qui colto in insolita attitudine di far propria la convinzione del suo mentore Aldo Capitini, cui il libro è dedicato, sulla «compresenza dei morti e dei viventi», e quindi intento nel solitario dialogare con i morti tipico dell'età avanzata.
(...)