Difficile scegliere tra i molti e diversi libri di Goffredo Fofi, che spaziano dal cinema alla politica, dalla letteratura al costume, dal teatro a una visione morale, mai moralista, di fatti e personaggi dei nostri giorni. Non sono Fofi diversi, naturalmente, ma solo frutto di quel suo avere la rara capacità di guardarsi attorno a 360 gradi, non per sentirsi al centro, ma per non perdersi nulla e far interagire tutto, andando poi a verificarne i risultati specie attraverso l'elaborazione intellettuale e la creazione artistica, che sono specchio, nel bene e nel male, del proprio tempo. E' tenendo presente questo allora che vanno letti i suoi due ultimi libri, usciti come per festeggiare i suoi 85 anni, compiuti il 15 aprile. Sono raccolte di scritti che vorrebbero riassumere una vita e che spesso hanno una forma quasi narrativa, coinvolgendoci, tra memoria e presente, nella visione di questo grande testimone del secondo Novecento, sempre attento negli anni specie ai giovani, alle loro idee nuove, alla loro ricerca espressiva, per sostenerli e aiutarli (e basterebbe guardare il lavoro fatto con riviste come Lo straniero e oggi Gli asini), così da essere considerato un vero maestro, o perlomeno punto di riferimento essenziale per la propria maturazione, visto il suo non mettersi mai in cattedra, anzi, sempre diciamo alla pari, ma con quella sua ottica dialettica ma inflessibile e quello sguardo indagatore e ironico. Se poi dei maestri a lui si voglio attribuire, tra questi possono esserci Danilo Dolci e Aldo Capitini. A quest'ultimo, uno dei miei morti più cari, è dedicato il primo libro, ritratti di persone morte non anziane e che avrebbero potuto fare e dare molto ancora, la cui memoria è importante, perché è solo sapendo e riconoscendo che i morti sono presenti, sono tra noi, che le loro idee e il loro operato continuerà a vivere.