La forma nasce dal vuoto e ad essa ritorna. Solo così l’intollerabile privazione del vuoto, con cui si apre Libro della forma e del vuoto (Edizioni E/O), può essere razionalizzata. Sprigionata in tutte le forme in cui il dolore può manifestarsi e infine metabolizzata con la tipica malinconia che suscitano le cose scomparse. In questa dialettica conflittuale tra vuoto e forma, in questa tensione irrisolta sembrano sprigionate le voci provenienti dagli oggetti che Benny Oh, tredicenne che appena un anno prima ha subito la morte del padre, un musicista jazz di origini giapponesi, sente e non riesce ad arginare. Allo stato di solitudine forzata in cui si riduce l’adolescente, protagonista del romanzo di Ruth Ozeki, corrisponde la depressione morbosa della madre che non riesce a reagire alla perdita del marito e alla preoccupante situazione economica che affiora come un’ombra minacciosa nella narrazione. L’opera di Ruth Ozeki racconta la crescita di Benny che, grazie a una serie di incontri con persone capaci di indicargli la giusta direzione, riuscirà a cogliere il significato profondo di quelle voci e a valorizzarle. E sarà proprio il contatto con quegli oggetti a fargli riprendere il dialogo con il padre là dove il lutto, l’ansia e il silenzio lo avevano lasciato interrotto.
Ruth Ozeki, che lo scorso mese è stata ospite al Salone del Libro di Torino, è tra le più apprezzate scrittrici americane. Entrata nella shortlist del Man Booker Prize nel 2013 con Una storia per l’essere tempo (Edizioni E/O), Ozeki insegna Letteratura Inglese allo Smith College di Northampton. I suoi romanzi sono stati tradotti in più di 35 lingue.
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