Se ancora qualcuno avesse dubbi sul perché del grande e ormai prolungato successo editoriale del noir un po' a tutte le latitudini, la lettura di Veit Heinichen potrebbe costituire un buon suggerimento per trovarvi una risposta. Fuori da categorizzazioni di valore e dignità letteraria che hanno fatto il loro tempo, la lente degli scrittori (quelli bravi, schiera cui appartiene senza dubbio il sessantacinquenne autore tedesco) che scelgono le crime story a tinte cupe è indubbiamente fra le più adatte a mettere a fuoco la complessità e le contraddizioni della società contemporanea. Qualora poi vi si aggiunga la capacità di ancorare saldamente il proprio racconto alle pagine più dense e drammatiche della storia - «il passato che non passa mai», motto di uno dei personaggi del nuovo romanzo di Heinichen - in una città-confine quale Trieste, insieme all'abilità di mettere in scena uomini e donne comuni, in cui è facile identificarsi, la bontà del «piatto» portato sulla tavola del lettore è assicurata.
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La mano di Heinichen, col suo stile asciutto e preciso, accende e raffredda la tensione quando occorre, muovendosi con sicurezza nel tratteggiare i personaggi - memorabile la figura della novantaseienne Ada Cavallin, lucidissima memoria storica del romanzo - e nel dipanare i fili dell'inchiesta fino allo scioglimento finale. Il lettore non può che rimanere incollato alla pagina e, chiusa anche l'ultima, restare con una domanda: a quando la prossima?