L’arma del delitto è decisamente particolare: una balestra
Il luogo è sempre lo stesso: Trieste.
Ma la certezza è soprattutto il vicequestore Proteo Laurenti, che torna protagonista di un romanzo di Heinichen dopo la fugace apparizione in “Borderless”.
Laurenti, originario di Salerno, è un triestino d’adozione, caratteristica che condivide con il suo autore, ed è molto bene immerso nella realtà giuliana grazie soprattutto alla famiglia, numerosa e allargata in cui domina la presenza femminile, che qui si è costruito e che, spesso, gli procura più ansie delle indagini che conduce.
Spesso ironico, a volte burbero ma mai collerico, Laurenti vive la città da vicino frequentando botteghe e locali (il Gran Malabar il suo preferito) spesso rinunciando all’uso dell’auto di servizio (che gli spetterebbe grazie al grado) e muovendosi a piedi.
E quando cominceranno a verificarsi omicidi inconsueti legati dallo stesso modus operandi, Laurenti avvierà le sue indagini rifuggendo come sempre le facili conclusioni e gli scontati luoghi comuni.
“Per principio non uso l’espressione serial killer, dottore. Fa venire in mente le serie TV americane”
Sarà invece la sua conoscenza della città, delle sue storie e, soprattutto, della sua Storia a condurlo, fra narrazione del passato e azione del presente, sulle tracce dei responsabili della scia di sangue che corre lungo il Carso.
Il romanzo corre su questi due piani temporali che fungono l’uno da catalizzatore dell’altro scandendo in modo preciso i tempi con cui si sviluppa la trama.
Trama che ha, come sempre nei lavori di Heinichen, continui richiami alla memoria della città, terra di confine in cui si incrociano innumerevoli nazionalità e i più disparati traffici che, nel corso degli anni, sono passati dalla droga alle armi fino agli esseri umani e fra le cui cause c’è sempre un riferimento alla politica, passata o presente, che l’autore non manca mai di porre sotto la lente della sua critica lasciando sempre al lettore inaspettati spunti di riflessione.