«Heinichen si è dedicato al lato oscuro della civiltà europea: con perno su Trieste, un occhio ai Balcani, puntate in Austria, sconfinamenti più a est, ha inseguito flussi finanziari e traffici clandestini, criminali di guerra e manager dello sfruttamento. Le sue storie oscillano tra un presente che non dà tregua e un passato che non vuole passare: «La memoria del Novecento mi ha sempre ossessionato» ci spiega. «E qui a Trieste ho rivissuto i tanti drammi e le tante reticenze che hanno accompagnato la mia gioventù tedesca, quando tutti gli adulti sembravano dire e una voce sola: noi non ne sapevamo nulla». Quelli di Heinichen sono gialli, noir, semplicemente romanzi: «L'importante è non dare troppe risposte» precisa. «Non mi ha mai interessato il giallo alla Derrick, che alla fine punisce il colpevole, rende giustizia alle vittime e ripristina l'armonia come se nulle fosse successo». Bisogna rispettare lo scarto, riconoscere come la vecchia partigiano Ada Cevellin di Lontani parenti che “nessuno
è innocente" e che "i buoni esistono solo finché ci si crede".
«Questo romanzo nasce otto anni fa» spiega lo scrittore. «Quando l'Anpi di Trieste chiese a me, scrittore tedesco,
di tenere il discorso per il settantesimo anniversario dell'esecuzione di 72 partigiani e civili da parte dei nazisti. La richiesta mi lasciò interdetto, non sapevo che dire, ma sapevo che non potevo dire di no». Heinichen tiene un discorso toccante, raccoglie molti applausi, stringe mani di vecchi combattenti, ma da quel giorno la talpa del romanzo si mette e scavare. I cunicoli narrativi sondano gli ultimi anni di guerra, il dolore delle vittime, la nuova vita dei colpevoli, fino a incrociare, per l'undicesima volta, la tigna investigativa del commissario Proteo Laurenti».