«L’orrore è inspiegabile a chiunque, tantomeno ai bambini. Con loro, però, si può ricorrere alle favole, dove anche i cattivi sono previsti e la paura è necessaria a scacciare la paura. Questo fa Wayétu Moore nel suo romanzo memoire “I draghi, il gigante, le donne” pubblicato in italiano da E/O con la traduzione di Tiziana Lo Porto. È dunque in una favola che, per la piccola Tutu (cinque anni), si trasfigurano le crudeltà della guerra civile in Liberia, la fuga dai ribelli (i Draghi) insieme al padre (il Gigante buono che la protegge) la nonna materna e le due sorelle. Per non farsi uccidere dai Draghi bisogna stare nascosti nel bosco, pensare che gli spari dei cannoni siano suoni di tamburi, non guardare i cadaveri lungo la strada che, come il Gigante dice a Tutu per tranquillizzarla, sono persone che dormono. Dopo tre settimane il padre e le figlie riescono ad arrivare alla frontiera. Ad aspettarli ci sono la mamma e una giovane miliziana (le Donne) che faranno di tutto per la loro salvezza. Da tempo la mamma non vive in Africa. Si è trasferita a New York, dove, grazie a una borsa di studio, frequenta la Columbia University. Tutu pensava addirittura che fosse morta, anche se tutte le domeniche la sentiva al telefono e le inviava le videocassette di “Tutti insieme appassionatamente” e “Il mago di Oz”. È in quei film che per la prima volta aveva visto persone bianche e che, considerata la brutta cera, pensava fossero malate. La fuga va a buon fine e Tutu diverrà ragazza negli Stati Uniti, in Texas. Difficile, però, e non priva di sofferenze sarà la sua crescita, il suo processo di integrazione continuamente mortificato da razzismo e pregiudizi: “In questo nuovo posto che Mam e papà ci avevano detto di chiamare casa, il colore della pelle regnava sovrano, sovrano e al di sopra della nazionalità, sovrano e al di sopra delle storie di vita, e sì, sovrano e anche al di sopra di Cristo”. Ma perché diventare un’altra da sé, rinunciare a sé stessa per piacere ad altri, doversi vergognare di chi sei, disconoscere le proprie origini? Per placare il tormento di questi interrogativi, di una lontananza vissuta come un tradimento (“la Liberia viveva con me ogni notte, nei miei sogni, la indossavo sulla mia pelle”) Tutu, a un certo punto, decide di fare un viaggio in Liberia. Perché là è la sua casa. La casa della nonna dove pure lei vorrebbe diventare nonna, dove la vita non sarà semplice (e quale vita non è segnata da problemi e dolori?) ma i giorni e le stagioni trascorrono in pace con sé stessi. E già questo basta per essere felici».