(...) I tuoi romanzi sono frutto di una ricerca meticolosa e approfondita. In Belle Greene colpisce la lunga e dettagliata bibliografia in appendice. Come funziona il processo creativo? Scegli prima il personaggio e poi fai delle ricerche oppure il contrario, cioè mentre fai delle ricerche per passione individui un personaggio su cui poter scrivere un romanzo?
Appena finisco di scrivere un libro provo questa sensazione di vuoto e per esperienza so che devo lasciarmi del tempo per liberarmi delle emozioni del personaggio di cui ho scritto fino a ieri. Quindi, leggo tutto ciò che non ho letto nel periodo in cui ero impegnata con la scrittura. D’altronde, dopo che trascorri anni a leggere soltanto del soggetto del tuo romanzo, hai bisogno di spaziare: anche perché, ad esempio, parlando di Belle Green non ho letto e studiato solo su di lei, ma anche su J.P. Morgan, di cui prima l’unica cosa che sapevo era che faceva di professione il banchiere. Diciamo che è un’esperienza totalizzante. Però, magari mentre leggo mi accorgo che c’è quello studioso che ha parlato di quell’altro personaggio, vado a leggere e scatta una sorta di colpo di fulmine, come in amore. Tuttavia, proprio come capita nella vita, un colpo di fulmine può essere completamente sbagliato, quindi magari sono colpita, inizio a fare delle piccole ricerche, ma poi non mi convinco. Se invece questo colpo di fulmine trova riscontro e si approfondisce, è lì che capisco che voglio scrivere assolutamente di questa storia. A quel punto continuo con le ricerche vere, vado negli archivi perché ho bisogno di sapere tutto prima di scrivere e, soltanto dopo che ho delineato tutto, inizio con la scrittura.
I tuoi colpi di fulmine sono spesso per delle donne fuori dal comune, come nel caso di Artemisia Gentileschi e Belle Greene: si può dire che l’intenzione è quella di voler dare voce a delle donne forti, moderne per l’epoca in cui vivevano?
Certo. Un personaggio come Belle è già moderno nel suo atteggiamento, nella sua pervicace volontà di voler essere quello che vuole essere, senza che nessuno le detti chi deve e come deve pensare. Poi per me Belle rappresenta la definizione di libertà: la libertà di scegliere il suo destino, nel senso che non aveva soldi, non aveva un marito che la mantenesse, non aveva una famiglia che la potesse elevare socialmente, eppure non ha obbedito a nessun diktat. Il no che ha detto è la definizione della libertà. In più non ha sacrificato nulla: la sua femminilità è stata intera, era un’erudita che adorava la moda, addirittura l’anticipava, si metteva i pantaloni prima della Prima guerra mondiale. E lo faceva con un rischio di scandalizzare che avrebbe potuto essere orrendo: eppure lei, nonostante la sua personalità facesse parlare di sé e potesse essere fonte di scandali, non fu mai oggetto di un vero scandalo. Insomma, si è scelta il suo destino, pur essendo una che in teoria non avrebbe potuto permetterselo.
Ma Belle Greene è anche una donna forte e indipendente che guadagna i gradini della scala sociale con un duro lavoro: che cosa pensi della condizione femminile nel mondo del lavoro?
Ci sono ancora molte battaglie da combattere e da vincere. Se noi fossimo come Belle, allora il mondo sarebbe molto diverso, però bisogna essere onesti e dire che allo stesso tempo Belle paga un prezzo terrificante: rinunciare al matrimonio, vivere nel segreto, il peso del colore della sua pelle ricaduto sul destino del nipote. Quindi, l’idea sarebbe quella di essere come lei, senza, però, pagare il prezzo che ha pagato lei. È una storia di successo assoluto: è la donna più pagata d’America, pur essendo una donna di colore. Ha fatto ciò che le donne bianche o nere potevano non fare, ma alla fine la sua vita non è stata semplice. Se noi avessimo potuto scegliere la sua libertà senza pagare il tipo di prezzo che ha pagato, allora sarebbe la vera vittoria. Ma siamo ancora lontani da questo traguardo! (...)