Dove sarà adesso il campanile di Marcellinara? Non sarà che qualcos’altro ha preso il suo posto? Oppure non sappiamo più che farcene di punti di riferimento, di bussole e rose dei venti, di piccole patrie dalle quali è preferibile non allontanarsi? Quanto fosse importante il campanile del paese in provincia di Catanzaro lo racconta Ernesto de Martino in uno dei tre saggi ora riuniti in Oltre Eboli (e/o, pagine 100, euro 8,00). Curato da Stefano De Matteis per la “Collana di pensiero radicale” diretta da Goffredo Fofi, il volume vale da introduzione essenziale alla figura e all’opera di colui che, a buon diritto, viene considerato il principale innovatore degli storici antropologici in Italia. Quella di de Martino (nato a Napoli nel 1909 e morto a Roma nel 1965) rimane una figura complessa, ma proprio per questo tanto più interessante per l’indagine sulla dimensione storica dell’esperienza religiosa. Crociano di formazione e militante del Partito comunista per scelta, collaborò con Cesare Pavese all’allestimento della “Collana viola” tramite la quale la casa editrice Einaudi rese disponibili nel nostro Paese testi fondamentali come Il ramo d’oro di James Frazer, il Trattato di storia delle religioni di Mircea Eliade, e poi gli scritti di Carl Gustav Jung, di Vladimír Propp, di Károly Kerényi. A inaugurare la “Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici” (questa la dicitura ufficiale) era stato nel 1948 Il mondo magico dello stesso de Martino, manifesto di un metodo nel quale, da lì in poi, confluiscono ricerca sul campo, elaborazione teorica e impegno politico. Distaccandosi dall’ortodossia marxista, che considera la religione alla stregua di una sovrastruttura della quale l’umanità è destinata a disfarsi, de Martino riconosce alle pratiche del sacro una potenziale forza di liberazione, in virtù della quale il «mondo popolare subalterno» acquisisce il diritto a intervenire nei processi storici, fino a modificarne il corso. È questa l’ipotesi (sostenuta con rimandi all’etnologia sovietica decisamente troppo generosi e forse addirittura interessati) che de Martino formula nel primo dei saggi scelti da De Matteis, risalente al 1949 e incentrato sulla necessità di superare l’immagine, fissata dal celebre libro di Carlo Levi, di una civiltà che si sarebbe arrestata al simbolico «confine di Eboli». De Martino, al contrario, è persuaso che l’apparente «imbarbarimento» — causato dall’irrompere di «abitudini culturali» nelle quali rientra anche una «ingenua fede millenaristica» — possa aiutare a comprendere non solo «“lato oscuro” del genere umano», ma anche il «“lato oscuro” della nostra stessa anima di “occidentali” e di “moderni”». Lo conferma il secondo testo presentato in Oltre Eboli, le Note lucane del 1950 che documentano la complessità di una religiosità contadina vissuta come elemento di rivendicazione sociale. Ma è nel terzo contributo, datato 1964 e dedicato al Problema della fine del mondo da cui furono occupati gli ultimi anni della vita di de Martino, che raggiungiamo finalmente Marcellinara. Siamo nell’entroterra calabrese, lo studioso non riesce a trovare la strada, chiede a un anziano pastore di accompagnarlo per un tratto, tanto poi sarà lui stesso a riportarlo indietro in auto. L’uomo accetta, ma appena perde di vista il campanile è preso dal panico: «per tale scomparsa — scrive de Martino — esperiva angosciosamente il crollo della sua angustissima patria culturale con l’abituale paesaggio che faceva da scenario quotidiano ai suoi spostamenti col gregge». La sua è una condizione per certi aspetti simile a quella del paranoico «contadino di Brema» sul quale, nello stesso periodo, de Martino si sofferma durante la stesura dell’incompiuto La fine del mondo, del quale è uscita nel 2019 da Einaudi una nuova edizione critica. All’interno del medesimo progetto di articolata ripubblicazione delle opere di de Martino si aggiunge ora, sempre per Einaudi, l’imprescindibile Morte e pianto rituale (a cura di Marcello Massenzio, pagine LXXVIII+372, euro 29,00), il saggio del 1958 nel quale si stabilisce la continuità tra le forme primitive del lutto e le successive liturgie funebri per il tramite della lamentazione della Vergine ai piedi della Croce. A tratti polemico verso la Chiesa del suo tempo, de Martino ha comunque saputo cogliere un aspetto essenziale del cristianesimo, che è la consapevolezza per cui «la fine di un inondo non significherà la fine del mondo, ma, semplicemente, il mondo di domani». Oppure, come potrebbe dire un credente «il mondo che verrà» come annunciato nel Credo.