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Let them eat chaos – Che mangino caos – Kate Tempest

Autore: Luca Brecciaroli
Testata: Read and Play
Data: 12 novembre 2020

Le giornate passano come immagini su uno schermo.
A volte ho come la sensazione che la mia vita
sia il sogno di qualcun altro.

L’artista Kate Tempest

Kate Tempest è, per chi non la conoscesse, un’artista incredibile, poliedrica: si potrebbe definire “rinascimentale” non fosse che è invece totalmente ancorata alla realtà che ci circonda, alla nostra attualità, alla crisi che l’umanità sta attraversando in questi difficili e confusi giorni. Kate Tempest è scrittrice, poetessa, autrice teatrale e rapper di altissimo livello, un personaggio influente e molto seguito nel mondo anglosassone, un’artista che si potrebbe già dire pienamente arrivata non fosse che ha appena 35 anni e da parecchio tempo, fin da giovanissima, confeziona libri, poesie e canzoni stupende.

Amo molto il rap e l’hip hop, naturalmente non la maggior parte delle cose scadenti che circolano negli ultimi anni, nei quali rapper di infima qualità, tutti uguali e senza nulla da dire, confezionano hit che scalano le classifiche. Il vero rap, quello che univa la musica all’urgenza rivoluzionaria, da quello più politicizzato dei Public Enemy a quello a 360 gradi degli immensi Beastie Boys, è stato negli anni annacquato da dubbi personaggi costruiti dalle case discografiche o dalle mode del momento, finendo per fagocitare se stesso. Benché arte angolofona, anche nel nostro Paese si sono vissute esperienze interessantissime, dagli Assalti frontali ai 99 Posse, da Lou X ai Casino Royale, fino ad alcuni artisti di buona qualità e, soprattutto, dato il genere musicale, con qualcosa da dire, che sono emersi in questi ultimi tempi. Detto ciò, tuttavia, evito di entrare nella filologia musicale del genere, per la quale sarebbe necessario uno spazio enorme, anche perché basterebbe leggere quel capolavoro che fu Il rap spiegato ai bianchi dell’infinito David Foster Wallace, qui insieme a Mark Costello, pubblicato nel 1990 da minimum fax e da poco ripubblicato. Ne ho un’edizione con il prezzo ancora in lire…

Nel nuovo millennio ecco apparire Kate Tempest, un’artista rivoluzionaria, potentissima, tanto graffiante quanto poetica, scrittrice sopraffina e performer di un’energia incredibile. La giovanissima Tempest brucia le tappe: per come siamo abituati qui in Italia può sembrare inconcepibile, ma nel 2012, quando era appena ventisettenne, la Royal Shakespeare Company le commissionò la scrittura, con un linguaggio moderno e attuale, della vita del bardo. Il progetto, denominato My Shakespeare, venne assegnato a una giovane rapper dalla più prestigiosa istituzione teatrale del mondo. Cose del genere non possono non colpire e sono indice del talento del soggetto ma anche della cultura (in senso totale) di un Paese. A parte ciò, mettere sullo stesso piatto Shakespeare e l’hip hop, la tragedia classica e il teatro di avanguardia, la poesia e la performance, la drammaturgia e la scrittura di romanzi, è già di per sé un’impresa impossibile: se poi a farlo, e in maniera eccelsa, è una giovane ragazza londinese, beh, c’è poco da dire, o moltissimo… D’altronde Kate Tempest scrive rime di questo spessore (da Europe is lost):

L’Europa è perduta
L’America è perduta
Londra è perduta
Eppure rivendichiamo a gran voce la vittoria
Tutto ciò che è privo di senso impera
E non abbiamo imparato niente dalla storia.

L’opera Let them eat chaos

Dopo questo lungo preambolo, necessario per inquadrare l’artista, arriviamo al 2017, quando Edizioni e/o pubblica Let them eat chaos – Che mangino caos, un poema che l’autrice ha messo in musica nell’omonimo disco: musica e poesia, rabbia e passione, una perfetta commistione di suoni e parole. Neanche dirlo, il disco è stato un enorme successo, impossibile restare immuni dalla sua energia, dal suo trasporto, dal cantato della Tempest che alterna tutti i toni possibili con un’abilità tecnica impressionante e un’empatia travolgente. Grazie alla traduzione (edizione con testo originale a fronte) di Riccardo Duranti per la citata edizione italiana, si possono apprezzare bene anche i testi delle poesie, cosa altrimenti possibile solamente per una esigua minoranza di quasi madrelingua inglese. E le poesie della Tempest sono davvero tempesta: si intuisce fin dall’imbarco che la traversata sarà turbolenta, difficile, gli agenti atmosferici avversi e sferzanti.

Dalla prima strofa, «Immaginate un vuoto, un buio immobile e senza fine» si naviga verso il caos citato nel titolo, il caos di una società smarrita, persa nella sua vacuità, nei rapporti finti o inesistenti con gli altri, nell’etica, o meglio nell’estetica, del lavoro per alcuni, nella semischiavitù di lavoretti insulsi per poter sopravvivere per altri. La poesia è davvero tale, anche nel tono di alcuni passaggi, che diventano inaspettatamente teneri e delicati, mostrando una pur difficile da raggiungere ma possibile speranza. Ma sono certamente i passaggi più cupi e drammatici a lasciare il segno.

Ho il cuore ricoperto
di nomi scritti con lo spray
di tutti gli amici
che si sono persi per strada.
Niente cambia,
tutto resta,
si mangia la tua forza
e alimenta la vergona.

O ancora (da We die):

Si muore.
Perché altri possano nascere.
S’invecchia
perché altri possano essere giovani.
Il senso della vita è vivere.
Amare se si può. E poi tramandare.

Le canzoni/poesie sono tutte connesse, si dipanano in una storia estremamente avvincente quanto fosca, disperata. C’è un elemento ricorrente in alcune poesie ed è l’ora, le 4:18 del mattino, un orario nel quale alcune persone non riescono a dormire o a prendere sonno, smarrite nei loro pensieri, impaurite dalla vita passata, presente e futura, ciascuna con le proprie problematiche e ansie, paure ma anche speranze. Le 4:18 accomunano sette personaggi, sette anime che vagano sul nostro pianeta: vivono tutte vicine tra di loro ma non si sono mai incontrate. Penserà Kate Tempest, letteralmente impersonandosi in una tempesta, a far sì che i personaggi escano e si incrocino, almeno per un istante. Le solitudini si uniscono, rendendo per un attimo meno sola tutta l’umanità. Accendono una speranza, invitano a stare vicini, a scendere in strada, a compiere metaforicamente un gesto rivoluzionario, che è quello di impegnarsi per rendere questo mondo un posto migliore: può sembrare impossibile dopo aver letto e ascoltato l’opera, ma in fondo si può fare, in fondo la luce è sempre accesa, tremolante e incerta, ma accesa.

Portavoce di una generazione precaria, smarrita, spesso disperata ma con un’energia e un desiderio fortissimi, non riesco a non accostare Kate Tempest a un’altra mia personale eroina, la Sally Rooney di Parlarne tra amici e soprattutto di Persone normali. Entrambe si sono, a mio modestissimo avviso, “caricate la croce” di smuovere le coscienze dei loro coetanei, entrambe sono incredibilmente rivoluzionarie: oggigiorno, in tempi confusi e incerti, sono i messaggi veicolati da Tempest o da Rooney a colpire nel segno, rivoluzionarie quanto con i piedi piantati in terra, cittadine di questo mondo che reclamano giustizia, equità, convivenza pacifica ecc. In questo passaggio si evince tutta la carica poetica e politica di Kate Tempest:

Eccomi qua davanti al palazzo del mio IO!
Costruire un proprio io e una psicosi
mentre la gente muore a frotte
ma nessuno se ne accorge.
Be’ in verità
qualcuno se n’è accorto.
Si capisce dall’emoji che ha postato.

La colonna sonora

Facile, in questo caso, tracciare la colonna sonora di un’opera di questo genere, un’opera di poesia scritta direttamente per essere messa in musica. Il libro coincide esattamente con le canzoni dell’album Let them eat chaos, un vero e proprio capolavoro del genere sia a livello ritmico, sia per le musiche sia per i testi. Non a caso, d’altronde, il libro si apre con questo avviso: «Questo poema è stato scritto per essere letto ad alta voce.»