È l'anno in cui a Rouen si celebra la festa dell'Armada e per dieci giorni la Senna contende al Canal Grande di Venezia il titolo della via d'acqua più affascinante d'Europa. I più bei velieri delle marine militari di tutto il mondo si danno appuntamento nel suo porto e da lì navigano il fiume sino a Le Havre. E una parata sontuosa che si snoda per miglia tra le anse e i meandri della Senna, richiama decine di migliaia di spettatori, è per la città un vero e proprio tesoro a cui attingere. I battelli turistici si moltiplicano per l'occasione, crociere, traversate, cocktails, serate danzanti, fuochi d'artificio, escursioni, convegni, una sorta di cornucopia marina che riempie le tasche dell'amministrazione cittadina, degli operatori del settore, ristorazione, hótellerie, eccetera...
C'è però un altro tesoro che gira intorno all'Armada. Rouen è il quarto porto di Francia, ma ne è anche una delle sue più antiche città. Capitale dell'Alta Normandia, intorno all'anno Mille fu ampliata dal capo vichingo Rollone, suo primo duca, il quale, in cambio del titolo, mise fine alle scorrerie dei suoi vichinghi, che proprio della valle della Senna avevano fatto il luogo deputato dove nascondere il relativo bottino. È di Rollone il celebre editto con il divieto di saccheggio, nonché l'idea dell'anello d'oro lasciato appeso e incustodito nella foresta di Rouman, con annessa maledizione per chi avesse comunque tentato di impadronirsene...
Chiacchiere dell'anno Mille, si dirà, ma ancora nel XVI secolo, le caravelle di Cortés, il conquistatore spagnolo dell'impero atzeco di Cuauhtémoc, cariche del più grande tesoro che si fosse mai visto sul mare, vennero abbordate da La Salamandre, il veliero del pirata Jean Fleury, normanno di Rouen, pensa un po'... Nella locale chiesa di Villequier, lungo quella Senna dove si svolge la navigazione dell'Armada, una magnifica vetrata raffigura proprio quell'abbordaggio. È probabile che Fleury, divenuto proprietario di quel favoloso bottino, lo abbia nascosto proprio fra Rouen e i suoi dintorni. Gli spagnoli lo impiccheranno a Cadice nel 1527, cinque anni dopo la sua fortunata impresa, ma che fine abbia fatto il tesoro degli atzechi nessun libro di storia è in grado di raccontarlo: il pirata si è portato il suo segreto nella tomba.
Non è sufficiente? Nel 1789, quando le cose in Francia cominciano a mettersi male per i Borboni, Luigi XVI fa stivare il tesoro della corona sul Télémaque e ordina al suo comandante di levare le ancore e prendere il largo. Il Télémaque risale la Senna, raggiunge il grande estuario che da Rouen porta a Le Havre e all'Atlantico, naufraga e poi affonda con tutto il suo prezioso carico al largo di Quillebeuf. Ancora oggi esploratori molto seri si immergono regolarmente alla ricerca del relitto.
Insomma, mare, vele e marinai, tesori, maledizioni e pirati fanno tutt'uno con questa città della Normandia, come ben racconta Michel Bussi nel suo Usciti di Senna (edizioni e/o, traduzione di Alberto Bracci Testasecca, pagg. 460, euro 17), il romanzo più indiavolato di questa estate post Covid in cui non ci resta che sognare fantasticando intorno agli «angeli neri dell'utopia», come i pirati vennero ribattezzati nella loro epoca più felice, anche se finita male per quasi tutti i suoi protagonisti, il XVII secolo. Allora ebbero addirittura uno Stato: si chiamava Libertalia, era in una zona intorno al Madagascar, non contemplava la proprietà individuale, non faceva differenze fra uomini e donne, vietava la schiavitù, predicava l'eguaglianza assoluta fra le razze: in quel tempo le chiamavano così... Come dice uno dei personaggi del romanzo, «volevano creare il paradiso in terra, hanno inventato addirittura una nuova lingua, e per venticinque anni ci sono riusciti. Allora li hanno massacrati. La società finisce sempre per massacrare i pirati, è nell'ordine delle cose. Libertalia però continua a far battere il cuore di tutti i pirati del mondo come un paradiso perduto».
Bussi è un autore molto noto oltralpe. È un geografo di professione, è un sapiente e divertito costruttore di storie, sa benissimo che un romanzo senza intreccio è un onanismo intellettuale: appaga solo chi lo scrive. In Usciti di Senna, l'intreccio è multiplo: ci sono gli attuali movimenti anarchici, che proprio dall'effimera repubblica di Libertalia prendono spunto, e che nelle chiacchiere del cosiddetto «giornalismo d'inchiesta» trovano un'eco sproporzionata rispetto alla loro reale consistenza. C'è un omicidio in apparenza banale, un marinaio messicano assassinato per motivi ancora sconosciuti, un delitto passionale, una rissa, che è però il primo di una serie. C'è la ricerca spasmodica di un mitico tesoro, uno dei tanti mai ritrovati nei secoli, eppure esistiti, che potrebbe ancora essere sepolto in qualche ramo della Senna. Ci sono commissari alle prese con i problemi che l'essere dei «padri separati» aggiungono ai rompicapi di un'inchiesta per triplice omicidio, e giornaliste che per raggiungere l'agognato scoop si sono rovinate la vita, e ora sono lì a Rouen, in un settimanale di provincia, a leccarsi le ferite.
Soprattutto, c'è Rouen stessa, la città che custodisce nella cattedrale di Notre Dame il cuore di Riccardo Cuore di Leone, la città che processò e mandò al rogo Giovanna d'Arco e dal cui porto salpò la Statua della Libertà per il suo viaggio verso New York, la patria di Gustave Flaubert, tesoro letterario come pochi e, questo sì, a disposizione di tutti... Bussi la conosce come le sue tasche: ci fa mangiare al Gill di guai de la Bourse o alla Brasserie Paul, ci porta in giro per il suo centro medievale, vecchie case a graticcio marronebianco, ci fa vedere la cappella Blu a CaudebecenCaux, con la sua danza macabra scolpita sulle colonne dell'atrio SaintMaclou, i busti di indiani d'America scolpiti sulle facciate dell'hotel de Sauvages... Poi si siede al tavolino di un bistrot, si mette a raccontare e noi, un bicchiere di rum in mano, rimaniamo lì felici ad ascoltare.