"Fellini è tutto nei suoi film, basta guardarli con attenzione. È proprio la loro colorata superficie piena dell'avventura e della scoperta dell'esistere e i momenti di silenzio, di sospensione, che ne fa un autore così straordinariamente italiano".
La prefazione di Goffredo Fofi a "L'Italia secondo Fellini", pubblicato da Edizioni e/o nella "Collana di pensiero radicale" è un appassionato invito a cogliere l'originalità di un artista poliedrico, capace di interpretare il suo tempo attraverso le lenti cangianti di una creatività illimitata. La scelta di anticipare l'intervista con splendidi commenti di autorevoli personaggi di Cultura avvicina il lettore ad una figura che ancora resta, proprio per la sua versatilità, un enigma. Grazie a Piergiorgio Giacchè riflettiamo sulla nostalgia che "si traveste da fantasia vorace". Cogliamo le similitudini e le diversità che lo avvicinarono a Pasolini: entrambi vati di un cambiamento che avrebbe destrutturato la realtà.
"Hanno saputo spiare, con allarme o con ironia, non importa, l'infanzia di una mutazione antropogica che si apprestava a liquidare tanto il passato quanto il futuro."
Quella "maniera di pensare equivalente al collage", sottolineata da Gianni Volpi, può essere letta come una dissacrazione del mito, la necessità di raccontare attraverso metalinguaggi il paradosso dell'esistenza. La voce del regista arriva come un vento che vuole ancora scuoterci. È la passione per ogni pellicola che lo abita, la schiettezza di una sincerità a volte dolorosa, il rapporto tra cinema e vita, la luce di Cinecittà, il sogno di viaggiare. "L'ambizione sarebbe, oltre che raccontare il nostro paese, di raccontare la creatura umana, in tutta la sua radicale sfericità." Obiettivo raggiunto e leggendo la sua testimonianza si sente che "ci ha capiti e raccontati come nessun altro artista suo contemporaneo".
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