La letteratura rimane una via maestra per conoscere le persone, i popoli e le civiltà. In questi anni tormentati, il mondo che va dalle rive del Mediterraneo fino all'Oceano indiano e che include etnie, religioni, lingue diverse, ma con alcuni tratti comuni di storia e di cultura, sta dando vita a opere letterarie belle e interessanti. Attraverso questi romanzi, i loro personaggi, le loro atmosfere e storie, ci avviciniamo a quelle popolazioni con una sensibilità di cui solo la letteratura è capace.
Pubblicheremo quindi non solo romanzi arabi o di autori musulmani, ma libri provenienti dalla vasta area geografica e storica che dal Nordafrica arriva fino al Pakistan, includendo quindi anche paesi non arabi (ad esempio Iran o Turchia) o di autori o temi non musulmani.
Questa area a cui ci riferiamo ha, pur nelle grandi differenze interne, una sua unità, sia per la storia vissuta che per l'influenza islamica (anche tra i non musulmani), oltre che per l'attualità drammatica. È un mondo molto variegato ma che noi occidentali percepiamo abbastanza unitario e nel quale troviamo ricorrenti temi storici, culturali, artistici (ad esempio lo status delle donne, la scarsa o nulla democrazia, il peso soverchiante della religione e in particolare dell'Islam, lo scarso sviluppo dei diritti civili, eccetera eccetera).
Il nostro obiettivo nel pubblicare questi libri è di far conoscere le voci nuove del cambiamento e gli aspetti più originali e meno stereotipi di queste culture, le mille facce di un mondo che non è più quello che conoscevamo (poco) ma che si sta "modernizzando" nei modi più diversi.
Traduzione dall'arabo di Barbara Teresi
«Saadawi utilizza il realismo magico con ottimi risultati, mescolando la fantasia con la macabra realtà di Baghdad. L’elemento fantastico aggiunge un tocco di allegria all’opera, mitigando la sua crudezza. Baghdad stessa emerge come un personaggio formidabile, la città natale che Saadawi descrive come un “inferno in terra”».
—The New York Times
«Frankenstein a Baghdad si è aggiudicato la settima edizione del Premio Internazionale della narrativa araba. Il riconoscimento va a un libro sulla vendetta, la crudeltà e la sete di giustizia in una città devastata dalle bombe e dalle violenze settarie».
—Il Sole 24 Ore
Il romanzo è ambientato a Baghdad durante l’occupazione americana nel 2005-2006. La città è costellata di esplosioni kamikaze, percorsa da violenze settarie tra sciiti e sunniti e altri gruppi, priva di un ordine statale e civile vero e proprio, immersa nella precarietà economica. Un misterioso personaggio raccoglie e mette insieme i pezzi di cadaveri prodotti dalle esplosioni e crea un Frankenstein, un mostro che comincia a vivere e a vendicare le vittime. Un po’ alla volta questo mostro, su cui indagano inutilmente polizia e giornali, terrorizza la popolazione di Baghdad, passando a colpire anche vittime innocenti.
Ahmed Saadawi è nato nel 1973 a Baghdad, dove vive. Autore di documentari per la tv, Saadawi è anche giornalista e corrispondente freelance, romanziere, autore di racconti brevi, poeta e pittore. Ha pubblicato una raccolta di poesie, vari racconti brevi su diverse testate cartacee e online e tre romanzi, l’ultimo dei quali, Frankenstein a Baghdad, ha vinto la settima edizione del prestigioso International Prize for Arabic Fiction, noto come Arabic Booker.
Traduzione dall'inglese di Carla De Caro
Una saga familiare fra Los Angeles e Teheran, fra l’Iran più misterioso ed esoterico e un’America che sempre meno appare come una terra promessa.
Una storia nera di vendetta e superstizione che ci trasporta dai vicoli del bazar e dai palazzi orientali di Teheran alle autostrade e alle ville hollywoodiane di Los Angeles.
Il romanzo è la saga dei Soleyman, una famiglia di ricchi ebrei di Teheran costretta a emigrare in America dopo la rivoluzione khomeinista. È soprattutto la storia dell’incredibile persecuzione di questa famiglia da parte di una donna, la “Strega nera”, decisa a far riconoscere il proprio figlio bastardo come erede del ricco patrimonio dei Soleyman. La Strega nera appare improvvisamente un giorno nella villa dei Soleyman. Proveniente dai sobborghi più miseri di Teheran, sostiene che il figlio sia frutto della sua relazione con il primogenito dei Soleyman, Raphael, un uomo con problemi di salute. Proprio per questa incapacità di Raphael, il patriarca dei Soleyman aveva già affidato le redini della florida attività economica al secondogenito, il quale caccia quindi via la Strega nera. Inizia a questo punto una lotta feroce tra la donna e suo figlio da una parte e il resto dei Soleyman dall’altra, una battaglia che s’incrocerà con gli scontri della rivoluzione khomeinista e le persecuzioni dei Guardiani della Rivoluzione, e proseguirà fino in America. Lì il “Figlio di Raphael” (e della Strega nera) diventerà un potente finanziere che attraverso truffe e raggiri porterà avanti la sua feroce vendetta contro le donne della famiglia Soleyman, le uniche sopravvissute della dinastia.
Gina B. Nahai è nata nel 1961. Scrittrice e giornalista, insegna Scrittura creativa alla USC (University of Southern California). I suoi libri sono stati tradotti in 18 lingue e selezionati per importanti riconoscimenti come il premio Pulitzer per la narrativa, l’Orange Prize e l’IMPAC Award. Tra i suoi titoli più importanti: Cry of the Peacock, Moonlight on the Avenue of Faith, Caspian Rain. È inoltre una rinomata studiosa della storia del popolo persiano.
Traduzione dall'inglese di Silvia Castoldi
Nella drammatica vicenda umana del giovane Rasa l’omosessualità, repressa dai regimi dittatoriali e dai fondamentalisti islamici, diventa una chiave di lettura obbligata del mondo, un punto di vista privilegiato per smascherarne le ipocrisie e le contraddizioni.
Il Guapa, il luogo di ritrovo dei deviati e degli esclusi, diventa il cuore stesso della città di Rasa, il simbolo della strada e della sua ribellione.
Una capitale mediorientale percorsa dal fremito della Primavera araba.Rasa, un giovane omosessuale non dichiarato che vive con la dispotica nonna paterna Teta, di giorno lavora come interprete e di notte si divide tra il Guapa, un locale underground nel cui seminterrato si radunano clandestinamente i gay e le lesbiche della città, e il suo amante segreto, Taymour, che fa entrare nella propria camera da letto fino al giorno in cui la nonna li scopre.Intanto il suo miglior amico, Maj, star drag queen del Guapa, viene arrestato all’interno di un cinema. I due eventi fanno precipitare la situazione già fragile di Rasa, abbandonato dalla madre quando era bambino, emigrato più tardi in America, dove però non riesce a integrarsi e tornato alla solitudine e alla vergogna della convivenza con la nonna.
Rasa s’interroga anche sulla breve, intensa stagione delle proteste di piazza, prima che la repressione del regime e la conseguente estremizzazione degli scontri portassero all’emergere del fondamentalismo islamico. In uno scontro diretto con Ahmed, un leader islamista della protesta, Rasa è costretto al silenzio di fronte all’invettiva di quest’ultimo contro gli omosessuali. Il matrimonio del suo amante Taymour con Leila, una ragazza della buona borghesia, fa esplodere definitivamente il precario equilibrio di Rasa.
Saleem Haddad, classe 1983, è nato in Kuwait da madre iracheno-tedesca e padre palestinese-libanese. È cresciuto in Giordania, Canada e Gran Bretagna. Per Medici Senza Frontiere ha lavorato in Yemen, Siria e Iraq. Ha collaborato con il Centrodi Studi Strategici dell’Università della Giordania. Vive a Londra dove si occupadi politica, rapporti stato-società, processi di transizione e peacekeeping per conto di Safeworld, lavorando come Conflict and Security Advisor per le aree del Medio Oriente e del Nord Africa. Ultimo giro al Guapa è il suo romanzo d’esordio.
Traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca
L'Iran prima del colpo di stato del 1953.
Il romanzo che racconta gli anni della libertà e di come l'Occidente abbia deciso di rovesciare per interesse un governo democratico.
Dagli anni Venti agli anni Cinquanta del secolo scorso l’Iran, paese fortemente tradizionalista e con un impressionante tasso di analfabetismo, conosce un periododi modernizzazione poco noto a noi occidentali. Il primo motore di questa apertura alla modernità è Reza Khan, diventato scià grazie a un colpo di stato che limitail potere temporale dei religiosi, istituisce l’istruzione obbligatoria aprendo scuolein maniera capillare, e proibisce l’uso del chador. Dal 1950 al 1953 l’Iran vive addirittura un periodo di autentica democrazia con il governo Mossadeq, finito anch’esso in un colpo di stato che porterà al ritorno dell’assolutismo e, pochi anni dopo, all’integralismo degli ayatollah. Giardini di consolazione è la saga di una famiglia iraniana durante quel movimentato trentennio. Dopo il matrimonio Sardar e Talla, due contadini di uno sperduto quanto idilliaco villaggio dell’interno, decidono di andare a cercare fortuna al nord in un villaggio vicino a Teheran. È un Iran ancora feudale. Sardar fa il pastore, Talla fa i latticini e tiene la casa. Avranno un figlio, Bahram, che avrà un destino molto diverso: con le nuove norme, infatti, Bahramva a scuola, legge giornali e frequenta ragazze di cui vede il volto. È il breve e radioso periodo della democrazia di Mohammad Mossadeq, del proliferare dei partiti politici, della nazionalizzazione del petrolio su cui hanno messo le mani inglesi e russi. Finché il colpo di stato reazionario, pilotato dagli Stati Uniti che temono il dilagaredel comunismo nel paese, non spegne di colpo i sogni di un’intera nazione.
Parisa Reza è nata a Teheran nel 1965 in una famiglia di artisti e intellettuali. Si è trasferita in Francia all’età di diciassette anni. Con Giardini di consolazione, suo romanzo d’esordio, nel 2015 ha vinto il Premio Senghor.
Traduzione dal turco di Barbara La Rosa
«Altan butta giù le porte con su scritto “Non disturbare”. Scrittore e assassino è un romanzo profondamente politico».
—The Guardian
«Una narrazione profondamente avvincente e coinvolgente sull’amore, il desiderio, la solitudine. Ahmet Altan è una delle voci più importanti della letteratura turca e ha molto da dire al mondo».
—Elif Shafak, autrice della Bastarda di Istanbul
In questo noir letterario dall’atmosfera enigmatica, uno scrittore senza nome capita in una piccola cittadina e si trova implicato in un mistero dai risvolti esistenziali. Uno scrittore amante delle donne, che ha vissuto tutta la sua vita in città, si ritira in una assolata cittadina turca. Invece della calma e della pace che cercava, si troverà immerso in un mondo di sospetti, paranoie e violenze. Non c’è nessuno di cui si può fidare: il sindaco è allo stesso tempo il suo miglior alleato e il suo peggior nemico, la sua amante sembra nascondere un oscuro passato, gli abitanti della cittadina sembrano decisi a fare di lui un assassino, e presto tutto quello che riuscirà a scoprire verrà usato come un’arma contro di lui. Ma noi possiamo fidarci dello scrittore? Di fronte a un narratore tanto seducente è difficile per il lettore non farsi trascinare nel suo mondo di piacere, ambizione, politica e morte. Un giallo che si avvita su se stesso in maniera sognante, nello stile di Paul Auster e Graham Greene.
Ahmet Altan è un giornalista e scrittore turco, nato ad Ankara nel 1950. Ex direttore del quotidiano Taraf, critico nei confronti del presidente Erdogan, è stato arrestato con l’accusa di aver diffuso “messaggi subliminali” a favore del tentato colpo di stato del luglio 2016. Per la sua liberazione si sono mobilitati scrittori e intellettuali in tutto il mondo. I suoi romanzi e saggi hanno venduto milioni di copie, e sono stati premiati in Turchia e all’estero. In Italia è stato pubblicato nel 2008 L’amore è come la ferita di una spada (Bompiani), un successo mondiale da 500.000 copie. Scrittore e assassino è stato già venduto in 7 paesi.
Traduzione dall'arabo di Barbara Teresi
Il romanzo vincitore del Prize for Arabic Fiction 2015 (il Booker arabo), il più importante premio per la narrativa in lingua araba.
In un’epoca di grandi tensioni e cambiamenti politici e sociali, nella Tunisia a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta, la storia di un amore e di un sogno rivoluzionario destinati a soccombere. Ambientato a Tunisi negli anni tra la fine della presidenzadi Bourguiba, nel 1987, e l’inizio del regime di Ben Ali, L’Italiano è un intenso e compiuto affresco della storia recente tunisina, che fa da sfondo alle vicende individuali del protagonista Abdel Nasser, detto “l’Italiano”, spirito libero e ribelle fin dalla prima adolescenza, leader del movimento studentesco a capo di un’organizzazione di estrema sinistra durante gli anni dell’università, poi giornalista affermato per un’importante testata governativa. In Tunisia quelli sono anni cruciali, di grandi tensioni e cambiamenti alle porte: la montata dell’islamismo da un lato, la forte repressione da parte del governo dall’altro, il colpo di stato “medico” con cui Zine el-Abidine Ben Ali destituisce il presidente Habib Bourghiba. In questo clima carico di fermenti rivoluzionari, lotte contro gli islamisti e manifestazioni contro il potere statale si staglia la tormentata storia d’amore tra Abdel Nasser e Zeina, brillante e bellissima studentessa di filosofia, che sogna una carriera in ambito accademico. I sogni di Zeina e di Abdel Nasser finiranno purtroppo per naufragare sotto gli ingranaggi spietati di una società corrotta e maschilista, mostrandoci i meccanismi con cui la repressione e la censura da parte di un regime dispotico, nonché il diffuso degrado di una società in cui i valori sono solo di facciata, finiscono per stritolare l’individualità, le speranze e le aspirazioni dei singoli.
Accademico, editorialista, traduttore e critico letterario, Shukri al-Mabkhout è nato a Tunisi nel 1962 ed è attualmente rettore dell’Università di Manouba. È autore di diversi saggi e di due romanzi: L’Italiano, che nel 2015 gli è valso il più importante premio letterario per la narrativa araba, l’International Prize for Arabic Fiction, oltre al più prestigioso premio letterario tunisino, il Comar d’Or, e Baghanda, ispirato alla storia vera di un noto calciatore tunisino.
Traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca
«L’autrice ci accompagna dentro un’opera che è al tempo stesso romanzo d’amore e testimonianza politica di grande ricchezza».
—L’Express
Nella più sordida prigione di uno stato in cui non è difficile riconoscere l’Iran, terra d’origine dell’autrice Fariba Hachtroudi, la prigioniera 455 è un mito. Ogni giorno, bendata, viene torturata crudelmente, con sadismo. Eppure non parla, resiste. Troppo, per i suoi carnefici. Crede che sia giunta la sua ora quando un uomo misterioso la libera dall’incubo con un semplice schiocco delle dita. La prigioniera 455 non lo vede in faccia, ne intuisce appena la camminata. Anni dopo, al sicuro in un paese europeo, le basterà per riconoscere l’uomo venuto a chiedere asilo politico, un ex colonnello in fuga dal loro comune paese d’origine. È l’inizio dei ricordi, due vite su fronti opposti, entrambe vittime di un grande amore spezzato. Ma è anche l’inizio della libertà.
Nipote dello sceicco Esmaïl Hachtroudi, leader religioso molto rispettato in Iran, deputato nel Parlamento che ha partecipato alla Costituzione del 1906 e difeso la laicità e la tolleranza, Fariba Hachtroudi è la figlia del grande matematico e filosofo Mohsen Hachtroudi, più volte in odor di Nobel e grande autorità morale, attivo sul fronte della difesa dell’uguaglianza tra uomini e donne. Nata in Iran, Fariba ha vissuto in Francia fin dalla sua adolescenza. Dopo un dottorato in Archeologia, è diventata giornalista e ha fatto la reporter durante la guerra Iran-Iraq, pubblicando numerosi reportage sull’Iran e sui diritti delle donne. Il suo primo romanzo, Iran, les rives du sang, ha ricevuto il Gran Premio dei Diritti dell’Uomo nel 2001. Ad esso sono seguiti nuovi reportage, come Les femmes iraniennes, 25 ans d'inquisition islamiste (2004), À mon retour d'Iran (2008), Khomeiny Express (2009), ulteriori romanzi e un saggio dal titolo Ali Khamenei ou les larmes de Dieu (Gallimard, 2012). Con L’uomo che schioccava le dita è tra i dieci finalisti del Premio dei lettori del Festival dei libro di Mouans-Sartoux 2014.
Traduzione dal francese di Federica Alba
«Lo sguardo di due donne sulla storia iraniana. Due generazioni, due vite, due forme di esilio a confronto per raccontare la memoria del grande paese asiatico, ma anche per immaginare un futuro di libertà».
—Il Manifesto
Le protagoniste di questo romanzo sono due donne, due iraniane. La prima, nata dopo la rivoluzione del 1979, e che ha conosciuto solo il regime islamico, è una giovane attrice di grande successo. La seconda, scrittrice rinomata, è cresciuta nell'Iran dello Scià. La ragazza racconta alcuni episodi della propria infanzia, le vessazioni subite dai familiari in quanto laici ed artisti, la folgorante carriera nel cinema, il peso della censura e i lunghi interrogatori da parte dei Guardiani della Rivoluzione. Il suo racconto testimonia di un Iran sconosciuto alla scrittrice, che ricorda invece la forzata modernizzazione della società al tempo della monarchia filo-occidentale dello Scià. Dal confronto di queste due visioni nasce un romanzo affascinante, in un gioco di specchi che concorre a definire il ritratto di due donne decise ad affermare la propria identità, il proprio talento, e a vivere la complessa evoluzione di un paese pieno di contraddizioni e di grande ricchezza culturale.
Nata a Teheran nel 1960 in una famiglia di intellettuali, Nahal Tajadod si è trasferita in Francia dal 1977, prima dello scoppio della rivoluzione islamica e dell'avvento del regime dei mullah. Sinologa ed esperta di religioni orientali, ha scritto diversi saggi su buddismo e manicheismo e ha pubblicato alcuni libri ispirati alla vita del poeta mistico Rumi, curando anche l'edizione francese dei suoi canti d'amore spirituale insieme al marito Jean-Claude Carrière, noto scrittore e sceneggiatore. In Italia è conosciuta per il romanzo Passaporto all'iraniana, pubblicato da Einaudi nel 2008.