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Ogni volta che ti picchio di Meena Kandasamy

Autore: Elisabetta Bolondi
Testata: SoloLibri
Data: 23 giugno 2020
URL: https://www.sololibri.net/Ogni-volta-che-ti-picchio-Kandasamy.html

Se l’espressione “un pugno allo stomaco” è consentita, è proprio questa l’impressione che ricava chi si avventura nella lettura del romanzo-verità Ogni volta che ti picchio (E/O, 2020, trad. S. Montis): la narratrice, poetessa e scrittrice femminista Meena Kandasamy decide di rendere pubblica la sua tragica vicenda matrimoniale, che per poco non le è costata la vita, data la violenza bestiale che ha operato su di lei il marito, professore universitario di letteratura inglese, guerrigliero comunista, militante in organizzazioni paramilitari di estrema sinistra, sostanzialmente misogino e psicopatico.

Nulla sapeva la giovane sposa ventisettenne quando con leggerezza e superficialità aveva accettato il matrimonio con il professore, a cui pensava la unissero gusti e impegni culturali simili. Lei, femminista convinta, poetessa valente, decisa a costruirsi una vita con la scrittura, si trova improvvisamente prigioniera, reclusa in una minuscola casa isolata, priva di contatti con l’esterno, privata di volta in volta dell’account Facebook, di tutte le relazioni con amici e colleghi, del suo indirizzo mail, dello stesso portatile, azzerato in uno dei tanti momenti di violenza del marito, di cui non si dice neppure il nome.

Nel corso della narrazione, un crescendo di inaudita cattiveria e di gesti di alta valenza simbolica, ma anche e soprattutto di botte, calci, minacce di morte e sesso inteso come mezzo di sopraffazione e di stordimento (in altre parole il rapporto coniugale ridotto a sistematico stupro), porta la donna a una strategia di fuga difficilissima da attuare, dato l’isolamento a cui l’uomo l’ha condannata. All’esterno, invece, con i genitori di lei e con i colleghi, il marito si mostra remissivo e tollerante: è lei che non sa fare la moglie, troppo presa dalle sue smanie femministe, dalla ossessione per la poesia e la narrativa, dalla sua vera incapacità di essere la devota mogliettina che la tradizione indiana impone da secoli. La minaccia di scotennarla, di sfondarle il sesso rendendolo inservibile al piacere, di lasciarla morire e poi sparire le faranno comprendere che non può contare che su se stessa se vuole uscire dall’inferno a cui lei stessa si è condannata. Soli quattro mesi dura questo matrimonio terribile e niente meglio delle parole dell’autrice di questo libro pieno di crudeltà inesprimibile rende vagamente l’idea delle torture a cui è stata sottoposta:

“La volgarità degli insulti di mio marito mi umilia. Mi vergogno che una lingua permetta a un uomo di insultare una donna in così tanti modi diversi. Ogni immagine evocata è ripugnante. Ogni parte del mio corpo è una parola sputata con disgusto”.

“A nessuno viene in mente che una donna picchiata vive nell’intimidazione, viene costretta con le minacce a sentire, a credere, convincersi che nel momento in cui chiederà aiuto correrà un rischio ancora più grande. [...] Una donna vittima di violenza il più delle volte può fidarsi di una persona soltanto. Se stessa”.

“L’unico corpo che mi sento autorizzata a condividere è il corpo che modello con le parole. Le mie dita catturate dalle parole sono canto e poesia, musica e danza, tracciano nell’aria il volo di piccole farfalle”.

Ecco, una donna che riesce a fuggire da una situazione di umiliazione, tortura, minaccia, angherie, privazione di ogni libertà, schiavitù, compiute scientemente da un uomo con cui dormi, vivi, mangi, fai sesso, che dice di amarti anche se sei una troia e via elencando insulti di ogni tipo, è certamente da ammirare per il coraggio, la determinazione, l’impegno a far valere la sua sopravvivenza e quella di troppe donne meno forti, meno motivate, meno dotate del dono della parola che ha salvato Meena Kandasamy dall’abisso. Ogni capitolo del libro è preceduto da una piccola citazione: Wislawa Szymborska, Elfriede Jelinek, Margaret Atwood, Frida Kahlo, Anne Sexton, a mostrare la vastità delle letture di Meena, che ora vive al sicuro, a Londra, con qualche puntata a Chennai, la città natale. Finalmente vive del suo lavoro di poetessa, scrittrice, traduttrice, anche se le sue cicatrici restano a testimoniare il suo percorso, raccontato con uno stile ricco, vario, sincero, emotivamente molto coinvolgente, reso in modo efficace dalla traduzione di Silvia Montis.