L'EDITORIA delle debuttanti. Dopo Silvia Avallone, rivelazione della scorsa stagione con Acciaio, tocca a Viola Di Grado (Catania, classe '87). Il suo romanzo d'esordio Settanta acrilico trenta lana (E/O), candidato al Premio Strega, ha fatto innamorare i critici, che l'hanno paragonata a chiunque: Amélie Nothomb, Elena Ferrante, Isabella Santacroce. A Leeds (Inghilterra) «nevica tutto il giorno, a parte quella breve parentesi d'autunno che ad agosto aveva scosso un po' di foglie e se n'era tornata da dove era venuta ». Il padre di Camelia, la ventenne protagonista, muore in un incidente d'auto, precipitando in un fosso con l'amante. Camelia avrebbe dovuto andare a vivere da sola, iniziare l'università, ubriacarsi al pub coi coetanei. La madre, choccata, smette letteralmente di parlare. La ragazza rimanda gli studi, resta a casa e cerca di salvarla. Una storia, meno cupa di quanto sembri dalla trama, sull'incomunicabilità tra genitori e figli e sui tanti modi, esistono, per superare il dolore.
Settanta acrilico trenta lana ovvero?
«I maglioni di finta lana non riscaldano, fanno sudare freddo. È una metafora dell'inadeguatezza del presente di Camelia, mutilato dalla perdita del padre e dalla convivenza forzata con la madre (temporaneamente?) muta e pazza».
Tutte le famiglie felici sono uguali. Perché la famiglia borghese di Camelia non lo è?
«Madre flautista, padre giornalista. Vanno a letto con altri e litigano davanti alla figlia. Dopo l'incidente, la madre sciupa la sua bellezza. Gira in tuta. Comunica con gli sguardi. Soffre di 'anoressia verbale'. Camelia combatte la felicità del mondo, da cui si sente esclusa, con la 'chirurgia antiestetica' sui vestiti. Li prende dai cassonetti e li deforma, per esempio tagliando una manica».
Il tempo passa. Camelia ricomincia a uscire, lavora come traduttrice, conosce Wen.
«Wen le dà lezioni di cinese. La prima volta si baciano mentre passano due anatre blu e il fiume diventa schiumoso come la pellicola del latte quando cuoce troppo. Se fosse una storia d'amore, avrei fatto incontrare a Camelia un inglese biondissimo con quartetto d'archi in sottofondo. Ma non lo è. I miei personaggi scopriranno che il sesso crea problemi anche a vent'anni».
La madre migliora. Si riavvicina alla musica, segue un corso di fotografia a cui la iscrive Camelia. Intravedono la salvezza, ma l'inatteso finale non rassicura. Quanto c'è di autobiografico?
«Per fortuna poco. Suono il flauto. Sono fan della cantante Björk, ossessione di Camelia. Ho fatto l'Erasmus a Leeds, dov'è impossibile rientrare con la luce a prescindere dall'ora in cui torni. Studio il cinese, affascinata da come le sillabe abbiano significato anche da sole. L'ideogramma sesso è formato dalle parole cuore e vita».
Figlia della scrittrice Elvira Seminara e di Antonio Di Grado, professore di Letteratura Italiana e studioso di Sciascia. Laureata in cinese e giapponese a Torino. Cervello in fuga, si sta specializzando in filosofe orientali a Londra ("Mi manca il sole italiano. Te ne accorgi quando non ce l'hai"). È stato facile esordire?
«Ho scritto Settanta acrilico trenta lana come se fosse una questione di vita o morte. Se pensi di pubblicare le prime parole che ti vengono in mente, non ce la farai. Credo più nella tecnica che nell'istinto. La scrittura è violenza, deve far male, tener svegli di notte, non 10 minuti prima di addormentarsi ».