Tanti lettori italiani hanno passato la quarantena in compagnia di Violette, guardiana di un cimitero in Borgogna che nella sua casa ai bordi del camposanto raccoglie segreti e confidenze, mischiando risate e lacrime, sorseggiando un bicchierino di porto. Cambiare l’acqua ai fiori, in classifica ormai da 39 settimane, è un bestseller del passaparola. Uscito nel luglio scorso, si è affacciato in classifica a ottobre per poi crescere pian piano fino a superare Elena Ferrante durante la quarantena. La casa editrice ne ha vendute più di 50mila copie. Il personaggio di Violette, che dietro un’immagine anonima nasconde tanti segreti, fa pensare a Renée, protagonista de L’Eleganza del riccio.
«Molti lettori mi scrivono parlando di Violette come di una persona cara, che sentono vicina» racconta Valérie Perrin, al secondo romanzo. Nei suoi cinquantatré anni ha già vissuto tante vite: commessa, segretaria, addetta di call center, estetista. Nel 2007 ha incontrato il regista Claude Lelouch, trent’anni più grande di lei, con il quale si è sposata e che ha accompagnato in numerosi film come fotografa di scena e sceneggiatrice, prima di diventare autrice di successo, tanto che il marito si presenta scherzando come “Monsieur Perrin”.
Che impressione le fa essere una delle scrittrici preferite durante l’emergenza sanitaria?
«Anche in Francia, dove il libro è uscito in edizione tascabile qualche mese fa, c’è stato un fenomeno di riscoperta di Cambiare l’acqua ai fiori durante questa crisi. Violette convive con i morti ma è capace di gustare e comunicare i piccoli piaceri della vita. La cucina, le chiacchiere con gli amici, la bellezza di un fiore. C’è anche un personaggio nascosto, il marito scomparso, di cui affiorano i segreti come in un’indagine poliziesca. Alla fine è una storia di resilienza, ma anche una sorta di breviario per riconnettersi con l’essenziale. Forse è quello di cui abbiamo sentito bisogno nell’ultimo periodo».
Come ha avuto voglia di mettersi nei panni di una guardiana di cimitero?
«Andando sulla tomba dei genitori di Claude, in Normandia. Un piccolo cimitero a dieci minuti da casa, dove amo passeggiare con i nostri cani. Quel giorno calzavo per sbaglio gli stivali di mio marito, troppo grandi. Mi facevano male e mi sono seduta su una tomba. In quel momento ho avuto l’idea. Forse sono i genitori di Claude che me l’hanno soffiata. Tornando a casa ho cercato informazioni sul mestiere di guardiano di cimitero, e così è apparsa Violette».
C’è sempre un filo di ironia, quasi di allegria, nel racconto.
«In Borgogna, la mia regione, conoscevo un becchino di nome Norbert. Diceva che le migliori risate della sua vita erano noi, durante i funerali ci sono momenti insopportabili ma anche attimi grotteschi, paradossali, comici. Norbert mi ha raccontato aneddoti divertenti e terribili. Nel romanzo è diventato Nono, il becchino amico di Violette. Anche lei, con la sua semplicità, riesce a mantenere sempre una certa distanza con gli eventi più drammatici e ridere della morte».
Anche per lei è così?
«La morte mi spaventa se penso alle persone care. L’idea di non poter più toccare qualcuno di amato, sentirlo respirare, è pesante. Per fortuna, sono convinta che la presenza si trasformi in qualcos’altro come nel romanzo dove il cimitero diventa un giardino di anime, pieno di fiori e poesia».
Dopo aver fatto tanti mestieri, perché ha deciso di scrivere?
«Il primo romanzo, Il quaderno dell’amore perduto, l’ho covato per quindici anni. Solo che non era mai il momento di scriverlo. I figli erano piccoli, lavoravo tanto. Poi ho conosciuto Claude Lelouch, stravolgendo la mia vita. Ed è durante la preparazione di un film con Johnny Hallyday che mi è venuta voglia di riprendere quel romanzo nel cassetto. Il cinema mi ha aiutata. Scrivo per scene, lavoro molto i dialoghi. Ho inviato il manoscritto all’editore, e tutto è successo in fretta».
Ha conosciuto Lelouch attraverso una lettera.
«Un’amica giornalista doveva incontrarlo per una cerimonia a Deauville e mi ha proposto di scrivere qualcosa su di lui. Senza dirmelo ha stampato il testo e gliel’ha dato come una lettera. Lui se l’è ritrovata in tasca, l’ha letta solo qualche settimana dopo. È rimasto colpito ma il testo non era firmato. Ha cominciato una sorta di indagine, e mi ha trovata».
Tra nove figli, due suoi e sette di Lelouch, e vari nipotini si è creata una sorta di tribù. Come avete vissuto il confinamento?
«Siamo venuti in Normandia con alcuni dei nostri figli. Io ero già in regime di clausura per finire il mio ultimo romanzo. Ho continuato a lavorare con la sveglia al mattino presto, senza vedere quasi nessuno. Il manoscritto è terminato da un mese. Solo da allora ho ricominciato una vita più normale».
Potrebbe scrivere qualcosa sull’attuale crisi?
«Credo di averne già scritto quando ho immaginato Il quaderno dell’amore perduto, dedicato agli anziani nelle case di riposo. Mi ha sempre fatto male vedere il tentativo di emarginare gli anziani, di nasconderli. In quel romanzo c’è il coraggio di una giovane donna che lavora in queste strutture. È una delle figure eroiche che abbiamo rivalutato in queste ultime settimane».
Perché si è candidata alle elezioni europee l’anno scorso? Vuole lanciarsi in politica?
«Sostengo il partito animalista guidato da una giovane avvocata molto brava. Mi hanno chiesto di candidarmi nella loro lista con l’obiettivo di eleggere un eurodeputato che potesse rappresentare il benessere animale, bandire le corrida o gli spettacoli di circo. Abbiamo ottenuto 500mila voti che è già un buon risultato. Continuerò a sostenere questo partito. Sin da piccola ho raccolto animali per strada. Ora ho due cani e tre gatti. E sono convinta che la crisi che stiamo vivendo debba aprirci gli occhi sul nostro rapporto con la Natura. Abbiamo parlato tanto di umanità nell’ultimo periodo ma il rispetto degli altri passa prima di tutto nella relazione con chi non può difendersi».