«La mia Violette non esiste nella realtà ma ha una personalità talmente forte che adesso vive con me».
Non succede solo a lei, Valérie Perrin: la protagonista del suo secondo romanzo «Cambiare l’acqua ai fiori» è rimasta al fianco di tanti lettori che raccontano sui social, nelle mail all’autrice e negli incontri (reali e virtuali) come la custode del cimitero di Brancion-en-Chalon e la sua storia abbiano saputo creare un legame speciale e duraturo.
La scrittrice francese Perrin è la nuova ospite dell’Angolo del Circolo, lo spazio dedicato al pubblico del Circolo dei lettori di Novara che dialoga a distanza con l’autore.
Perché ha voluto ambientare un romanzo di amore e mistero in un cimitero?
«Il camposanto è un luogo che sembra triste ma è ricco di poesia, fiori, gatti, persone, è il giardino delle anime. E soprattutto è un pretesto formidabile per creare un personaggio molto romanzesco come può essere la custode di un cimitero che nasconde tanti segreti e cose da raccontare».
Scegliere un cimitero come luogo di rinascita interiore è stato un modo per esorcizzare il timore atavico nei confronti della morte? (Elisa Fornara)
«Ho dedicato il libro alla mia amica Paquita che stava affrontando un lutto terribile, era un regalo per sostenerla nel suo dolore. Ma poi dai messaggi di molti lettori ho scoperto che sta aiutando tante altre persone a riconciliarsi con il cimitero e ad accettare la morte: per Violette i defunti non ci sono fisicamente, ma continuano ad esistere nei fiori, negli uccelli e un alito di vento è la loro carezza. È un effetto inaspettato del mio libro, non l’avevo pensato così ma è successo e mi ha colpito molto».
L’eroina del suo romanzo è resiliente e amabile tanto che al lettore viene voglia di incontrarla. Si è ispirata a una persona in particolare? (Francesca Griner)
«Violette non esiste nella realtà, ma ho incontrato tante donne che le assomigliano perché hanno la sua forza. Lei è talmente forte che adesso è diventata un fantasma nella mia vita, è sempre con me: quando ho ricevuto il “Prix Maison de la presse” per questo libro sono sicura che Violette fosse dietro di me, la sentivo fisicamente».
Nei ringraziamenti finali menziona Norbert Jolivet, un necroforo che lei definisce «inventore della gioia e della benevolenza», e Raphael Fatout, che ha un negozio di articoli funerari. Ha voluto rendere giustizia al loro lavoro, spesso disprezzato?
«È esattamente così. L’ho fatto anche nel mio primo romanzo “Il quaderno dell’amore perduto” in cui la protagonista è un’assistente di una casa di riposo e lo ripeto nel prossimo, che sta per uscire, con l’addetto di un rifugio di animali. Mi interessa portare alla luce la vita di persone “nascoste” nella società. Norbert è un vero necroforo della città in cui sono cresciuta, Gueugnon: è stato mio fratello a suggerirmi di parlare con lui e ho riportato nel libro gli aneddoti che mi ha raccontato. Raphael invece mi ha fatto capire come si consiglia la scelta di una bara, una musica o un testo per un funerale».
Cees Nooteboom nel suo bellissimo «Tumbas» immagina di andare a trovare le tombe dei suoi poeti e pensatori preferiti riconoscendo l’ambiguità del gesto: le tombe custodiscono qualcosa custodendo il nulla. Il suo romanzo fa di più: custodisce la vita, morte compresa. Può essere una bussola per il nostro futuro? (Veronica Arnone)
«La lezione di Violette è di apprezzare la vita nelle piccole cose: coltivare fiori e verdure, mangiare una frittata e bere del vino. Ho cercato di impararla anche io: in questi giorni di quarantena passo le ore a osservare gli uccelli nel mio giardino, ad apprezzare la natura e il tempo».
Il suo romanzo è un meraviglioso caleidoscopio di personaggi: ce n’è qualcuno che le piacerebbe raccontare ancora in un altro romanzo? (Susanna Lunardi)
«Ognuno ha la sua giusta dimensione. Il più complicato è Philippe, l’ex marito: lo si detesta ma si finisce per capirlo».
A proposito di Philippe, Violette lo nomina quasi sempre con nome e cognome: è per tenerlo lontano? (Giancarla Devecchi)
«Sì, lei vuole marcare una distanza con se stessa e la sua vita. Poi qualcosa cambia (ma non voglio svelare troppo), lui le appare umano e diventa solo Philippe».
«Cambiare l’acqua ai fiori» è insieme romanzo e thriller: quale parte ha amato di più scrivere?
«Mi piacciono i gialli ma non riuscirei a creare un libro solo di mistero e siccome adoro i romanzi d’amore ho deciso di unire sempre i due generi. Ormai è il mio marchio di fabbrica!».
Il suo è un libro di cui ci si innamora: come ha accolto questo successo? (Ebe Paggi)
«Ne apprezzo la felicità tutti i giorni perché è meraviglioso. “Cambiare l’acqua ai fiori” è uscito in Italia, Germania, Spagna, Russia e presto sarà pubblicato anche in Inghilterra e negli Usa dove è raro che accolgano un romanziere francese. È una favola».
Nel suo libro le cerimonie funebri, le orazioni per i defunti, le famiglie attorno alle tombe hanno grande importanza. Oggi siamo in un momento in cui i cimiteri sono a ingresso limitato e i funerali sono riservati solo a poche persone. Che cosa ci lascerà questo momento?
«La pandemia è qualcosa di terribile e inimmaginabile e il virus ha ucciso molto anche senza contagio: tante persone sono morte di solitudine e tristezza e penso, ad esempio, alle case di riposo che anche in Francia sono state molto colpite. Per il futuro sono ottimista, io cerco di esserlo sempre, ma ho molta paura che in nome del profitto e del denaro non si rifletta sui valori essenziali e in particolare sull’importanza di rispettare la natura, l’ambiente e gli animali. Non dobbiamo dimenticare che il nostro pianeta è malato e dobbiamo fare qualcosa».