La tecnologia ha velocizzato tanti aspetti della nostra quotidianità, regalandoci di fatto del tempo in più. Se sembra non bastare mai è perché abbiamo sviluppato nei suoi confronti una sorta di horror vacui, convincendoci che il tempo possa avanzare solo a chi non è abbastanza bravo a riempirlo. Va detto, come fa notare lo scrittore Matt Haig in Vita su un pianeta nervoso (Edizioni e/o), che nessuno ha mai trovato una pittura rupestre del Neolitico raffigurante un uomo in preda allo stress perché non ha sentito la sveglia. Questo perché, prima di essere sminuzzate in ore e minuti, le nostre giornate erano scandite secondo una diversa percezione del tempo. Anticamente, scrive Haig, c’erano il tempo dei pasti e quello della caccia, quello di combattere e quello per rilassarsi, quello per giocare e quello per baciarsi. Nessuno di questi tempi era legato alle innumerevoli suddivisioni del quadrante di un orologio. Forse l’umanità ha sempre avuto l’abitudine di alzarsi alle sette del mattino, ma oggi ci svegliamo perché sono le sette del mattino. E se sono le 7:20, sappiamo di aver già iniziato la giornata in terribile, terribile ritardo.