Le primi pagine si consumano subito nella lettura di ciò che accade in uno dei tantissimi Konbini, cioè quei negozi di alimentari e cibi pronti che sono aperti 24h su 24h. Ed invero, m’è sembrata in un certo senso la filosofia dei McDonald’s. Sorridi sempre al cliente. Sii sempre gentile con il cliente. Inserisci nel sacchetto del cibo d’asporto sempre abbastanza tovagliolini, saluta sempre, usa una voce stentorea nel parlare con il cliente… Tutta una serie di regole a cui viene formato il personale che avrà contatto con il pubblico. Qui nei Konbini o Convenience Store è aumentato all’ennesima potenza. Proverbiale la gentilezza ed il sorriso degli asiatici. Se il cliente è davanti alla cassa e deve pagare, ma si guarda intorno come se fosse indeciso se prendere ancora qualcosa… non chiedergli nulla. Fai un passo indietro rispetto alla cassa ed attendi la decisione del cliente con un sorriso gentile, anche se dietro di lui dovesse esserci una fila chilometrica di altri clienti. Ne saremmo capaci noi in Italia? E soprattutto, se fossimo in fila dietro al cliente indeciso davanti alla cassa, non lo apostroferemmo in qualche modo? Ah, come di consueto, qui, anni luce prima del Covid-19, prima di passare dalla cassa alla vetrinetta del cibo, l’operatore si disinfetta le mani con la soluzione igienizzante. Non faccio ulteriori commenti in proposito…
Ma venendo nello specifico al romanzo, senza perdersi in particolari come ho fatto poc’anzi. Sono rimasta sorpresa da questo romanzo – e non ho ancora capito se positivamente o meno. L’ho letto molto volentieri, difficilmente uno scritto giapponese non mi attira. Ma… come di consueto, la società che qui viene descritta è molto diversa dal mio mondo e questa volta invece di provare empatia, mi ha serenamente allontanata. Perchè la vita di questa donna che oramai si avvicina alla quarantina mi ha prima demoralizzata e poi infastidita. O meglio, più che infastidita, me l’ha resa lontana anni luce da tutto. Da tutto. D’accordo, da bambina era particolare – e la società giapponese è molto irregimentata in comportamenti e relazioni sociali. Sicchè, essendo molto intelligente, la Keiko bambina ha realizzato che se invece di esternare le sue eccentricità le teneva nascoste in se stessa, nessuno avrebbe avuto più nulla da ridire. Ottimo. Peccato che una volta innescato il processo, sia molto difficile tornare indietro, perché di amicizie non ne stringi e ti ritrovi a percorrere una strada solitaria. E come quasi sempre succede, in questi casi non è questione di scelta, ma di conseguenza.
Altra situazione che posso concepire, è che per sbarcare il lunario la Keiko ragazza trovi un lavoro part-time in un Konbini. E che invece di crescere e progredire, si fermi a questo. Per decenni. Poche spese, vita frugale, tanto di più non le serve. E’ triste se vogliamo, ma non siamo tutti uguali e l’affrontare la vita porta persone diverse a reagire in modo diverso. La cosa che più mi ha allontanata da quell’empatia, chiamiamola così, che provo nei confronti degli scritti giapponesi, subentra quando per una fortuita coincidenza di eventi, la matura Keiko entra in relazione con il suo ex collega Shiraha, che è stato licenziato dal Konbini perché non lavora in modo serio e sembra “stalkerare” le clienti del negozio. E che inoltre ha una considerazione delle donne - e del mondo in generale - di un flinstone neandertaliano, tanto per intenderci. E come se non bastasse, giusto per farlo apparire ancora più negativo, è un lavativo, un fannullone e un approfittatore.
E parlando con lui questa donna adulta che dovrebbe essere Keiko, si fa venire in mente la brillante idea di fingersi la sua fidanzata – anzi di più, di ospitarlo subito nel suo claustrofobico appartamento, in modo da essere lasciata in pace da chi, al lavoro e tra le ex compagne di scuola, continua a chiederle perché non si trova un lavoro e non si costruisce una famiglia.
La parte finale del romanzo poi sembra essere una battuta di cattivo gusto: pronta per il primo colloquio di lavoro, spalleggiata ed anzi spinta dalla sanguisuga del suo finto fidanzato, che vorrebbe che lei guadagnasse di più per poterlo mantenere degnamente senza che lui muova un dito, all’improvviso Keiko sente dentro di sé la voce dei Konbini che la chiamano. E capisce – lo dice lei stessa – capisce che prima che un essere umano, lei è una commessa del Konbini!
Mi rendo conto che l’autrice sta descrivendo la realtà nipponica – e tra poco, se non già, anche la realtà italiana, con molti giovani laureati che non trovano lavoro e per iniziare la propria vita adulta sono costretti ad accettare per anni lavori non consoni ai propri studi e soprattutto a tempo determinato. Ma qui la situazione descritta è diversa. E’ la ragazza Keiko che si adagia e non cerca più altro fino a fossilizzarsi. Capisco anche che – come detto – non siamo tutti uguali. E che quindi non tutti ricerchiamo successi lavorativi. Però allora si dovrebbe essere fieri del proprio lavoro, tanto da parlarne con serietà ed orgoglio alla propria famiglia, ai pochi amici e ai colleghi. Qui invece mi pare che l’autrice, per esemplificare società, cultura e attuale contingenza economica, dipinga la propria protagonista come una bambola di pezza che si fa continuamente portare dal vento in ogni direzione, salvo nella parte finale decidere che il cantuccio che si era ricavata in seno al Konbini sia la sua vocazione.
Sicuramente è un romanzo che letto in un Gruppo di Lettura, offre molti spunti di dibattito sui punti rimarcati sopra e riguardanti la società, la scelta dell’asessualità e della vita lavorativa – scelta che, a quanto letto nel romanzo, porta ad isolare gli individui che non rispettano i dettami del Paese nel quale sono nati e vivono.
Tra le altre, quando questo romanzo è uscito nel 2016 ha vinto il premio Akutagawa, uno dei più prestigiosi premi letterari giapponesi. E questo sta sicuramente a significare che il suo lavoro l’ha fatto egregiamente. Per quanto mi riguarda, l’ho trovato una lettura piacevole in quanto tale, ma che non mi è piaciuta per l’eroina atipica che l’autrice mi ha fatto conoscere. Per tutti gli aspetti che ha appiccicato addosso alla sua eroina e anche al suo principe azzurro.
Penso che la frase: “Le persone ‘normali’ adorano giudicare le persone ‘anormali’. È sempre stato così, è uno stupido modo per sentirsi migliori e importanti”, sia esemplificativa di tutto questo romanzo.