Un tipo di reazione analoga scatena anche il libro di Philippe Lançon La traversata, appena tradotto da Alberto Bracci Testasecca per le Edizione E/O. Philippe Lançon è uno degli undici sopravvissuti, dodici furono invece i morti, alla strage del 7 gennaio 2015 presso la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo e questo libro, meritoriamente vincitore in Francia del Renaudot Spécial, è il racconto autobiografico di quell’esperienza e di quello che è successo dopo. In questo libro Lançon, che durante l’attentato sarà ferito a una mano, perderà la parte destra della mandibola, una parte del labbro inferiore e i denti (Le lambeau si intitola in francese, quasi a sottolineare il lavoro chirurgico con i lembi di pelle), descrive con acutezza una situazione di confine tra la vita e la morte, provando a riordinare gli attimi di un momento sconvolgente che finirà per modificare per sempre la sua condizione fisica e psicologica. Come nel caso di Marino, questa situazione liminare non si limita al momento fatale, ma prosegue con il racconto dei numerosi interventi chirurgici, momenti in cui l’autore riflette sulla sua condizione. Il trasporto del lettore per questi racconti si arricchisce qui di un tassello ulteriore e importante, l’elemento del terrorismo, in quanto gli attentati di Parigi hanno ricordato a ognuno che in qualsiasi momento anche lui può diventare una vittima. In La traversata, un libro scritto in maniera magistrale l’autore riesce a raccontare la sua esperienza così in profondità che non può non lasciare sgomento il lettore, incapace, così come l’autore, di riempire gli spazi bianchi aperti dall’evento inspiegabile. Ci sono passaggi terribili (quelli in cui per esempio Lançon racconta delle cure dolorose), alti momenti di critica (non solo letteraria, Proust, Kafka e Mann soccorrono lo scrittore nella convalescenza, ma anche musicale, Bach è l’atro salvatore di Lançon), c’è la sofferente consapevolezza che la persona non sarà più la stessa, ma c’è anche un profondo desiderio di comprendere. Anche nel caso di Lançon quindi il mezzo letterario sembra essere lo strumento migliore per interrogarsi su questioni inaggirabili: è attraverso la letteratura che è possibile formulare una domanda che rimane comunque senza risposta, ma che trova il suo valore più profondo proprio in questa condizione.