Arriva in libreria, dopo il grande successo raccolto in patria, Tre, romanzo di Dror Mishani, in uscita da e/o. Una donna, dopo essere stata abbandonata dal marito, conosce un uomo – Ghil – grazie a un sito internet per divorziati. Un’altra donna, una lettone che vive in Israele e fa la badante, cerca casa, e anche lei incontra Ghil. Un’altra donna ancora, in fuga dalla routine domestica, incontra Ghil in una bar. Intorno a questa Ronde – per evocare Max Ophuls – in salsa mediorientale si sviluppa un intreccio “inesorabile”, che vede le tre donne ruotare introno allo stesso uomo, il quale, da parte sua, non dice la verità e che nasconde molte cose a tutte. A ciò si aggiunge il fatto che anche l’uomo non sa tutto di loro. Il thriller prende corpo e spicca il volo, poi, con la morte della badante, con l’avvio delle indagini per un caso che si rivelerà tutt’altro che facilmente risolvibile. Il meccanismo narrativo costruito da Dror Mishai è inesorabile, ed è in grado di far trionfare sulla carta ciò che di solito si rivela vincente sul grande schermo, per mano di quei grandi maestri della regia che della suspense hanno fatto un’arte.
Paolo Melissi
Si conobbero su un sito d’incontri per divorziati. Il profilo di lui era banale, per questo lei gli scrisse. Quarantadue anni, un solo divorzio, residente a Givatayim. Niente frasi del tipo “sono pronto a divorare la vita” o “sono alla ricerca di me stesso e ansioso di farlo con te”. Due figlie, 1,77 di altezza, laureato, libero professionista con una solida posizione economica, di origine ashkenazita. Nessun riferimento a opinioni politiche. E mancavano anche altre informazioni. Tre fotografie, una datata, due probabilmente più recenti, e in tutte il suo viso aveva un che di rassicurante, niente di speciale. E non era grasso.
Eran, il figlio di lei, aveva cominciato un percorso di psicoterapia e lo psicologo le aveva detto che sarebbe stato un bene se non si fosse mostrata troppo abbattuta ma fosse andata avanti con la propria vita. Orna aveva cercato quindi di ripristinare una certa routine: cena alle sette, doccia, un programma televisivo, poi, insieme a Eran, preparavano lo zainetto e la borsa per il giorno dopo. Alle otto e trenta o alle nove meno un quarto Eran era a letto e, malgrado potesse ormai leggere da solo, lei gli raccontava una storia. Non era il momento di interrompere quell’abitudine. Poi Orna si metteva al computer, in un angolo del soggiorno, e passava in rassegna i profili degli uomini sul sito leggendo i loro messaggi, anche se le era chiaro che non avrebbe risposto a nessuno che le avesse scritto. Preferiva essere lei a prendere l’iniziativa. Era la fine di marzo, ma la sera indossava una felpa, e quando andava a letto da sola talvolta piovigginava ancora.
(…)
Allora dove sarebbero andati? In macchina? In spiaggia? Sempre in teoria, naturalmente. «Dipende» balbettò Ghil, e quando lei gli chiese cosa aveva fatto con le altre donne con cui era stato, lui rispose che avrebbero potuto prendere una stanza in un hotel. Sulle prime Orna si mostrò scettica. Come aveva potuto non pensare a un hotel? «Un albergo a ore, come nei film? Non è un po’ squallido?». «Non so quali film intendi ma non deve essere per forza un albergo a ore. Potrebbe essere qualsiasi hotel di Tel Aviv. Si prende una stanza per una notte». Dopo l’iniziale riluttanza Orna cominciò ad apprezzare l’idea dell’hotel, senza capire il perché: «Allora, cosa ne pensi?» disse a Ghil, «non è arrivato il momento?». «Spero di sì» rispose lui. «Ma sei sicura? A me fanno un po’ male i muscoli… e non è troppo tardi per te?». Lei voleva rientrare a casa entro l’una, al massimo le due, per riuscire a dormire qualche ora prima di andare a scuola, ma erano solo le dieci di sera. Chiese a Ghil se conosceva degli alberghi e vide che la domanda lo metteva in imbarazzo. «Ci sono insegne in tutta la città e possiamo anche cercare su Internet» osservò lui. E Orna fece una ricerca sul cellulare.
(…)
L’hotel la sorprese. Era piccolo, in una normale via residenziale, ma aveva l’aspetto di un albergo in tutto e per tutto: c’erano una hall modesta e accogliente, un tappeto pulito, due scaffali di libri, un angolo per il tè e il caffè e una coppia di turisti cinesi o giapponesi in attesa di un taxi su un divano di pelle marrone. Assomigliava a uno dei tanti hotel nei quali lei aveva trascorso qualche ora quando lavorava come assistente di volo. Era stata lei a prendere l’iniziativa, a insistere, senza programmare nulla ma con la vaga consapevolezza che solo in questo modo ci sarebbe riuscita. Si voltò verso Ghil, lo baciò mentre chiudevano la porta della camera, lo tirò a sé e sollevò l’orlo del vestito fino ai fianchi per sentirselo strofinare contro. Poi lo trascinò verso il letto, gli tolse la camicia, gli toccò la schiena morbida e soltanto quando lui si sfilò i pantaloni prima che lei avesse il tempo di farlo, sentì che abbandonava per un attimo la stanza. Ma vi tornò in fretta, posò la mano su quella di Ghil e disse: «Non ancora. Aspetta un secondo».
Dror Mishani, nato nel 1975 a Holon, nel distretto di Tel Aviv, è diventato noto a livello internazionale grazie ai suoi romanzi gialli con protagonista l’ispettore Avi Avraham: Un caso di scomparsa (Guanda 2013, diventato un film con Vincent Cassel) e Un’ipotesi di violenza (Guanda 2015), da cui verrà tratta una serie tv. Oltre che autore, Mishani è anche studioso di letteratura, specializzato in storia del romanzo giallo. Tre segna per lui un punto di svolta: in Israele il romanzo è diventato un fenomeno letterario da decine di migliaia di copie, è stato pubblicato in dieci paesi ed è rimasto per 10 settimane nella best seller list dello Spiegel. Dror Mishani vive con la sua famiglia a Tel Aviv.