Le ferite dell’anima e del corpo di un superstite dell’attentato a Charlie Hebdo
Il giornalista Philippe Lançon ricostruisce i mesi successivi all’attacco del 2015 che gli ha devastato il volto. Dopo 15 interventi ne porta ancora i segni
Il 17 gennaio 2015 due terroristi islamici irruppero nella redazione parigina del giornale satirico Charlie Hebdo, facendo una strage: dodici i morti, undici i feriti, tra cui il giornalista Philippe Lançon, all’epoca 52enne. Ferito alle braccia e in modo devastante alla mandibola, era stato ritenuto morto dagli attentatori.
Se le notizie degli attentati terroristici, in particolar modo in Europa, ci colpiscono, il nostro cordoglio dura lo spazio della notizia. Mai ci chiediamo che ne è stato di quei feriti, quali traversie fisiche e morali subiscono questi sopravvissuti. Il libro autobiografico di Lançon ci fa toccare con mano che cosa significa sopravvivere e dover affrontare lunghi mesi di degenza, quindici operazioni, di cui a distanza di cinque anni ancora il giornalista porta i segni.
La narrazione parte da quello scorcio di normalità prima che tutto cambi. Il risveglio da single nel piccolo appartamento, le abitudini quotidiane, il tragitto in bicicletta verso la redazione di un giornale già abbandonato dai lettori ma sotto il mirino degli estremisti islamici, tanto da avere un poliziotto armato in redazione. Che però è impotente quando i due attentatori arrivano e i corpi cadono. Tutto sembra irreale e Philippe neanche si rende conto di avere il volto devastato. Trasportato in ospedale, comincia la sua “traversata”: la narrazione entra nei dettagli del disfacimento del corpo, delle menomazioni, della necessità di adattarsi ai limiti imposti dalle cannule (per molto tempo non può parlare). Si affida a medici e infermieri, è un paziente modello ma conserva la sua capacità di analisi, di osservazione. Pur visitato dai fantasmi dei compagni morti, riprende a lavorare quasi subito, mentre intorno a lui si avvicendano gli anziani genitori, il fratello, la ex moglie e una fidanzata più giovane di lui che non riesce a gestire la situazione e finisce per essere lei a rimproverarlo di egoismo e insensibilità.
Le lunghe descrizioni della vita ospedaliera sono inframezzate da ricordi e riferimenti letterari: Lançon è un uomo colto, dalle tante letture, e molti dei suoi riferimenti legati alla letteratura e al teatro francese magari rimangono oscuri ai lettori italiani. Si tratta tuttavia di un romanzo potente, necessario, che rende conto di che cosa significa vivere dopo un evento così traumatico, senza odio ma con un mix di partecipazione e distacco di chi comunque vuole andare avanti.