Nel tempo sospeso di Gaudé
Un cavaliere sconosciuto, sceso dalle montagne, ha attraversato il deserto e abbandonato una neonata nelle terre della tribù dei Djimba. Prima che venga lasciata in pasto alle iene una donna, Mamambala, la prende e la allatta, dandole il nome di Salina, «in ricordo del sale delle tue lacrime». Inizia così Salina. I tre esili di Laurent Gaudé, romanzo ambientato in un mondo ancestrale e in uno spazio di narrazione dove il tempo fluisce in una dimensione di silenzi e ritualità, tra destino e leggenda, tra segreto e mito. Gaudé evoca con magnetico e levigato lirismo civiltà e scenari dai ritmi lenti e ripetitivi, dove il tempo appare ciclicamente sospeso; mentre i segni e gli emblemi dei riti, i richiami religiosi agli dei e agli epici eventi bellici si nutrono del senso del mistero, tra dialoghi ridotti al minimo e l’incombenza di un futuro già scritto a cui non è dato di poter sfuggire. Ne è vittima proprio la protagonista, Salina, che non può sposare il principe Kano, che ama, ma è costretta alle nozze con suo fratello, il primogenito Saro. Mentre la portantina la conduce alla cerimonia nuziale, Salina «vorrebbe che la strada fosse lunga, infinitamente lunga, che dovessero portarla fino al monte Tadma e molto oltre. Finché è sulla portantina non è sposata, e pazienza se fa caldo e i braccialetti la stringono… Pazienza se è prigioniera dell’oro e dei tessuti: non è sposata. Stringe i denti per non urlare. Sa che non servirebbe a niente. Alla fine la portantina si ferma».
Ne seguirà un tragitto esistenziale di sopraffazione e sofferenza, che vedrà in Salina la vittima designata delle rigide e crudeli leggi della tribù, emarginata e costretta all’esilio in solitudine perché ribelle. Le sue vicende mischiano ingiustizia e violenza, tragedia ed erranza: «Salina è lontana dagli uomini e si logora a sopravvivere soffiano sul fuoco della sua vendetta, perché è l’unica cosa che le sia rimasta. Il tempo passa, sì, quasi una vita intera. Nella solitudine del deserto i giorni si assomigliano. Salina percorre le dune, lascia che il silenzio la attraversi… il tempo passa, ma per lei tutto è simile». Mentre la morte arriverà, con lenta e inesorabile precisione, ad impossessarsi di lei, il furibondo odio femminile che l’aveva costretta ad uscire dalla sua terra verrà suturato da un inatteso gesto femminile d’amore: in un’affermazione senza più confini della maternità, che vedrà il seppellimento dell’odio e del rancore nel nome di una nuova pace sancita. Gaudé percorre e avvolge il filo della narrazione con un lucido sguardo antropologico e una lieve e profonda pietas, presente nonostante l’odio e le dissennatezze umane. Nel finale, dopo che il figlio ha raccontato la vicenda della madre, il suo destino di sofferenza e coraggio viene finalmente accettato: nella certezza catartica che «negli istanti in cui tutto si conclude nascono i giorni del domani».