Sangue freddo, pelo sullo stomaco, nervi d’acciaio. Pensavo di averne in quantità. Cresciuto a pane e Stephen King, infatti, ho scoperto sin da ragazzino il fascino dei personaggi borderline e delle storie disturbanti. La follia mi intriga. In un’altra vita studierei Psichiatria per comprendere meglio i meccanismi mentali, le relazioni di causa-effetto, le origini del disagio. A sorpresa, I cariolanti ha messo a dura prova le mie resistenze: inizialmente pubblicato da Elliot Edizioni, è tornato in libreria grazie al successo che si è meritato nel frattempo Sacha Naspini – autore che desideravo leggere da un po’. Non indorerò la pillola. In questa storia essenziale e feroce, che conta poco più di cento pagine complessive, in ordine sparso vengono inclusi: cannibalismo, incesto, infanticidio, necrofilia. Ma nel bel mezzo di una carestia, cos’è lecito e cosa no? Perfino la moralità non ci vede più dalla fame.
Io non lo so se ho mai provato la fame quella brutta, quella che neanche ti fa dormire e se per caso ci riesci non fai che sognare quello: di mangiare. La fame quella che ti fa impazzire, tanto che cominci a guardare il secchio dei bisogni, o scavi con un dito per terra, in mezzo a una fessura delle tavole, alle volte ti capitasse un baco tra le mani. Giuro che ti metteresti in bocca di tutto, se piangi non fai che leccarti le mani per sentire il salato. […] Io non lo so se ho mai provato quella fame lì. Quella che a un certo punto, una volta, ha fatto dire al mio babbo: «Ora mi levo dal mondo e mangiate me».
Come in Stanza, letto, armadio, specchio i protagonisti vivono estraniati, in un buco nel bosco. È il quarto Natale che il narratore, il piccolo Bastiano, passa sottoterra insieme al resto della famiglia. Dal soffitto malsicuro grondano pioggia, fango, urina, scoppi e grida. Fuori si sta combattendo la Prima guerra mondiale e il padre, disertore, si nasconde. Con una lancia affilata, abbandonando di rado la sua postazione caccia animali e all’occorrenza anche uomini: la carne, gommosa, viene arrostita alla bell’e meglio stendendo una coperta contro l’imboccatura del bunker affinché il fumo non li smascheri. Segnato dai fatti dell’infanzia, Bastiano capisce che certi conflitti non finiscono mai per davvero: in palio c’è la sopravvivenza. Inquadrato tra i nove e i cinquantadue anni, somiglia a un Forrest Gump rosso di rabbia che ripercorre di corsa i peggiori anni della storia italiana. Dopo aver sperimentato una sepoltura in vita, questo selvaggio dagli ipnotici occhi verdi – incuriosito dall’altro sesso, migliore amico di cani randagi e cinghiali – racconta le sue rocambolesche disavventure ora a una scrofa da macellare, ora ai parenti defunti. Emerge il ritratto di un Paese messo alla prova dalle difficoltà della ripresa economica, fatto di casupole di fortuna, prostitute senza scelta, streghe presunte. Dappertutto, lì, vige la legge del più forte. Cane mangia cane, cane mangia uomo, uomo mangia cane, uomo mangia uomo: in tutte le combinazioni possibili e immaginabili della sofferenza, del disgusto, della verità. Soldato in Grecia, a un certo punto, Bastiano sperimenterà anche forme di violenza istituzionalizzate e in compagnia di qualche donna si scoprirà “sincero, anomalo, immune alle calamità che affliggono la gente”; dunque degno d’amore.
Sai, c’è il punto oltre il quale non si può andare. Forse, dopo aver pianto tante lacrime, un po’ ci stanchiamo del dolore. È come un’ombra che ormai ti ha gelato l’anima, ti accadono le cose e tu ne resti sempre un po’ fuori, le guardi da lontano, non sono più tue.
I cariolanti è la parabola di un uomo in cerca di vendetta e di magre forme di consolazione: a caccia di privilegiati, belle bambine e recriminatorie paurose. Ma è, ancora, la descrizione di colline trasformate realmente in un cimitero a cielo aperto. Un microcosmo popolato da creature da incubo, con lo sporco sin sotto le unghie; feccia di verghiana memoria che non abbaia, ma morde per ammazzare. Sconvolgente e destabilizzante, il romanzo di Naspini è una lezione di sopravvivenza – sull’imprevedibilità degli appetiti umani e delle traiettorie dei loro coltellacci – sconsigliata ai deboli di cuore. Al contrario, verrà amata da lettori a digiuno da un po’ di emozioni indelebili. Gli ho trovato un unico difetto: troppa carne al fuoco, poche pagine. All’horror puro della parte centrale, un calderone di brutture bruttissime, avrei preferito un andamento più verista; la lucidità del romanzo storico. D’altra parte, però, come non applaudire una scrittura fantasiosa, varia, straordinaria? Ogni capitolo racconta un’età di Bastiano, e ha uno scenario, un destinatario e spesso un punto di vista totalmente diverso dal precedente. Si susseguono monologhi ininterrotti, lettere mai imbucate, pagine di un diario adolescenziale. Espedienti narrativi incastonati con saggezza in una struttura ad ampio respiro, eppure singhiozzante, frammentaria e spigolosa al contempo: dove tutto torna, poi, in vista di un epilogo pieno di poesia e squallore che si rivela essere la chiusura simmetrica di un cerchio perfetto. Un cerchio nella terra, sì. Che sembra il canale attraverso il quale veniamo al mondo, o la bocca socchiusa dell’inferno.
Il mio voto: ★★★★