Non c’è scampo, questo è chiaro. Non c’è scampo per nessuno, neanche per chi ha provato – pur se per un solo momento – a ipotizzare una via di fuga dalle storie di Elena Ferrante. Che poi, non si cerca tanto di fuggire dalle storie tout court quanto dalle parole, le uniche che, anche quando vengono prese singolarmente, hanno il potere di comandare le emozioni e di trasformare il nostro umore. Parole pronunciate in libertà, parole ingabbiate, parole che feriscono, parole che vorremmo non aver detto e parole che vorremmo non aver sentito.
Siamo fatti al novanta per cento di parole, e il restante dieci per cento lo investiamo in vita vissuta. Ecco perché ci facciamo del male anche quando vorremmo soltanto leccarci le ferite e sperare che tutto passi in fretta.
«Quella mattina mi venne in mente all’improvviso una cosa che mi parve insopportabile e insieme divertente: né io né Vittoria né mio padre potevamo tagliar via davvero le nostre comuni radici e quindi finivamo per amare e odiare, a seconda dei casi, sempre noi stessi».
Dopo lo stupefacente successo de L’amica geniale – la tetralogia che ha stregato pubblico e critica d’oltreoceano – da cui Saverio Costanzo ha ricavato una serie tv maestosa e assolutamente perfetta (giusto lo scorso 10 febbraio è andata in onda su Rai Uno la prima puntata della seconda stagione, Storia del nuovo cognome), Elena Ferrante torna in libreria con un attesissimo volume, La vita bugiarda degli adulti, Edizioni e/o.
Da “L’amica geniale – Storia del nuovo cognome” di Saverio Costanzo. Photo Credits: AURALCRAVE
Protagonista è Giovanna, ragazzina di buona famiglia napoletana – questa volta non ci muoviamo fra le strade polverose del rione ma fra quelle più chic del Vomero, “in cima a San Giacomo dei Capri” – che ha tutta l’aria di essere una piccola Lenù in erba ma che in realtà, lo scopriremo quasi subito, cova dentro di sé il germe della vendetta, quella vendetta priva di tattiche e colma di rancore – per questo confusa e raffazzonata, per certi versi innocua – che si agita nella superficie dell’animo pre-adolescenziale quando viene a contatto con il mondo degli adulti, e quindi con la realtà. Non è la vendetta dei Solara, per intenderci. È la vendetta candida e genuina di chi scopre come funziona la vita.
Giovanna vive con i genitori, entrambi professori di liceo, un uomo e una donna cui la vita ha offerto un’importante possibilità: studiare. Sono infatti i libri uno dei grandi fili conduttori del romanzo, e non perché il testo pulluli di citazioni o di rimandi letterari, anzi. I libri dominano la scena di fondo, la sottotraccia del romanzo, perché sono il simbolo della Cultura, quella vera, poco accademica e molto libera, di ampio respiro, che non passa solo o necessariamente tra le mura di scuola. E perché è così importante questo “sfondo culturale” – su cui sembrano definirsi, facendosi materia concreta, le vite dei personaggi – e a cui tutti, prima o dopo, guardano con passione, con disprezzo o perfino con rammarico? Perché risulterà, a tutti gli effetti, uno dei pochissimi elementi di salvezza. Con i libri si fugge dalla realtà, si scappa dal silenzio invadente delle proprie abitazioni; si guarda al microcosmo terreno da un punto di vista inedito, sconosciuto, e per questo migliore; soprattutto, con i libri si accarezza la possibilità di sentirsi meno soli, meno incompleti, meno insoddisfatti, e questo Giovanna lo capirà presto a sue spese.
Ma procediamo con ordine e, pian piano, avviciniamoci al cuore del romanzo. La fantomatica bruttezza di Giovanna, cui si fa riferimento fin dalla prima pagina del libro, è quella che appartiene anche a Vittoria, sorella del padre della ragazza e zia ignota, mai vista prima. «Sta facendo la faccia di Vittoria», è questa la frase scatenante, da cui parte tutto. Chi è Vittoria? E perché Giovanna non l’ha mai vista prima? Cosa nascondono suo padre e sua madre? Ma soprattutto: perché ce l’hanno tanto con lei? Sono queste le domande che Giovanna si pone, in modo più o meno legittimo, e a cui cercherà di dare una risposta in via autonoma, architettando incontri e situazioni che la porteranno presto a scoprire il perché di tante cose (anche di quelle più inaspettate) e, prima di tutto, la porteranno ad individuare l’origine della menzogna. Cos’è, da dove nasce e perché è così importante, così tremendamente sublime.
Come ne L’amica geniale, i personaggi sembrano tutti fatti della medesima sostanza, che sfugge al tatto ma che resta sospesa in aria, chiara e limpida, come un profumo persistente. Ogni cosa rincorre un proprio equilibrio, l’armonia è insita in ogni silenzio, in ogni gesto esasperato e in ogni parola gridata.
Vittoria è il fulcro di tutto, è insieme il punto di avvio e quello di non ritorno, è l’ombra del male, l’occhio sanguinante della perfidia e l’abbraccio maleodorante della malinconia. È la copia malriuscita di Lila, così simile a lei nel suo essere visionaria, perennemente fuoriposto, fuori fuoco, eppure, allo stesso tempo, così lontana da quella sensibilità che faceva di Raffaella Cerullo una ninfa senz’acqua, che la rendeva unica e doppia come una dea precipitata dall’Olimpo. E Giovanna, inesperta e vorace, che si ribella all’educazione paterna e cerca rifugio nella volgarità di sua zia, non è che una Lenù al contrario, a cui la Ferrante ha prestato il “senso della smarginatura”:
«Mi stava crescendo dentro, ormai, un violentissimo bisogno di degradazione – una degradazione impavida, però, una smania di sentirmi eroicamente turpe».
Ancora una volta, Elena Ferrante ha intessuto le fila di una storia che va oltre la storia stessa, diventando nell’immediato terreno comune di confronto e di battaglia. Tutto ciò che entra a far parte del mondo ferrantiano è destinato a trasformarsi in magma, una lava incandescente che arde e pietrifica la nostra percezione della narrativa per lasciarci riscoprire il valore della Letteratura, carne viva, ferita che sanguina. Corpo che, fortunatamente, per sua stessa natura non si rimarginerà mai.