A novembre 2019 è uscito l’ultimo romanzo di Elena Ferrante, La vita bugiarda degli adulti, ambientato tra la fine degli anni settanta e gli anni ottanta. Com’è noto, il nome della scrittrice è uno pseudonimo e non si conosce la sua vera identità; i suoi romanzi hanno riscosso molto successo.
Giovanna, la giovane protagonista, ha dodici anni e dal racconto della sua vita emergono aspetti relazionali ed emotivi: i rapporti con i genitori, l’amicizia, l’adolescenza, la difficoltà a capire gli adulti e altro ancora.
Già il titolo del romanzo introduce un tema centrale: la mancanza di chiarezza e sincerità che di frequente può assumere il comportamento degli adulti, la difficoltà che questi possono avere nel mantenere una coerenza tra i principi e le regole che cercano di trasmettere ai figli e il proprio atteggiamento (il modello che offrono).
Tutto sembra procedere bene, Giovanna si sente molto apprezzata dal padre e stima entrambi i suoi genitori. La sua famiglia è in stretta amicizia con una coppia che ha due figlie (una coetanea e l’altra più piccola di due anni) e anche loro sono amiche.
Ma, in modo inatteso, Giovanna, che è sempre andata bene a scuola, ha un improvviso calo del rendimento. Un pomeriggio, dopo che le la madre era stata a parlare con gli insegnanti, la ragazzina sente i genitori discuterne, questi si trovano in cucina e non immaginano di essere ascoltati. La madre sta riassumendo ‘le lagne’ dei professori e cerca di giustificarla tirando in ballo i cambiamenti della prima adolescenza, ma il padre non sembra essere dello stesso parere e risponde:
L’adolescenza non c’entra: sta facendo la faccia di Vittoria.
Quest’ultima era una sorella del padre, racconta Giovanna:
Una donna nella quale – gliel’avevo sentito dire [dai genitori] fin da quando avevo memoria – combaciavano alla perfezione la bruttezza e la malvagità.
Sentire queste parole e avvertire un cambiamento dell’atteggiamento del padre verso di lei è tutt’uno. La protagonista spiega come si trovasse in un periodo di grande fragilità:
Avevo le mestruazioni da quasi un anno, i seni erano troppo visibili e me ne vergognavo, temevo di puzzare, mi lavavo in continuazione, andavo a dormire svogliata e mi svegliavo svogliata. L’unico mio conforto, in quel periodo, l’unica mia certezza, era che lui adorava assolutamente tutto di me.
Dall’episodio citato prende avvio un’esasperazione delle insicurezze adolescenziali di Giovanna che cerca faticosamente di comprendere il mondo degli adulti e cosa può essere cambiato. Per cercare di dare un senso alle parole del padre, decide di incontrare la zia (che non vede mai, perché la sua famiglia non la frequenta) così da potersi fare un’idea dell’aspetto e del modo di essere di questa persona alla quale, secondo il padre, lei cominciava ad assomigliare.
La confusione in cui si trova Giovanna è alimentata dalla difficoltà dei genitori nel mantenere atteggiamenti adeguatamente chiari e uniformi. La mamma delle sue amiche, coinvolta nelle diverse vicende che si svolgono, le dice:
[…] in quello che è successo non c’è colpa, si fa del male senza volerlo.
Tuttavia, seppure non ci fosse colpa, la mancanza di sincerità, la vita bugiarda appunto, contribuisce a creare problemi al processo di crescita dei figli. Ne è un esempio un passaggio de La vita bugiarda degli adulti nel quale Giovanna spiega a una delle sue amiche come lei in un’occasione si fosse vergognata perché riteneva che i genitori si vergognassero di lei, che non la ritenessero degna di loro. E la risposta dell’amica rivela una delle reazioni che possono avere i figli quando si trovano a ‘scoprire’ le mancanze dei genitori e ne rimangono delusi:
Non voglio essere degna, voglio essere indegna, voglio finire male.
Il romanzo tratteggia bene i personaggi e con stile scorrevole; in particolare delinea il tentativo della protagonista e delle sue amiche di trovare una propria strada, di comprendere il mondo degli adulti, di fare i conti con le inevitabili delusioni, di muoversi all’interno delle amicizie e di entrare nel mondo della sessualità.
Attraverso varie vicende Giovanna cresce e un giorno si trova a constatare che in effetti la sua faccia non aveva nessuna armonia, come quella della zia Vittoria, ma l’errore era stato farne una tragedia. La ragazza fa una riflessione che denota il suo processo di maturazione:
Basta guardare anche solo per un attimo chi aveva il privilegio di una bella faccia fine e si scopriva che nascondeva inferni non diversi da quelli espressi da facce brutte e grezze. Lo splendore di un viso, arricchito tra l’altro dalla gentilezza, covava e prometteva dolore ancor più di un volto opaco.
Con toni un po’ disillusi viene accennata una questione importante: l’attribuzione che talvolta viene fatta, in particolare nella fase giovanile della crescita, della propria sofferenza all’aspetto fisico, con l’illusione che le persone che appaiono più gradevoli di aspetto non possano ‘nascondere’ dentro di sé altrettanta sofferenza.
Il passo descritto tocca un aspetto delicato dello sviluppo dell’identità personale. In questo caso la riflessione prende avvio da un momento di insoddisfazione personale della giovane protagonista, amplificato dalle parole che sente dire dal padre e che le rimandano un improvviso cambiamento della percezione di sé, visto che credeva il padre apprezzasse tutto di lei. Ma cosa intendeva dire il padre? Come sempre accade, quello che ci permette di comprendere i vissuti emotivi è il modo in cui il soggetto attribuisce significato alla situazione, ma questo non sempre corrisponde pienamente alle reali intenzioni dell’altro.
Di più non è opportuno dire…i romanzi vanno letti con i ‘propri occhi’.