Quando il mostro è il vicino di casa viene da chiedersi come sia possibile non essersi mai accorti di nulla. Ma quando il mostro è tuo padre, un uomo esemplare, rispettabile, un acclamato professore per il quale senti anche un po' d'orgoglio, immaginate cosa possa significare?
In una sera come un'altra, stai cenando con lui e i carabinieri vengono a prenderlo, accusandolo della peggiore delle nefandezze: aver rapito, segregato e ucciso delle bambine. E tu non te ne sei mai accorto. Come si fa a superare il vuoto che ti si apre sotto ai piedi, che ti toglie le certezze, che ti porta a non sapere più chi sei, se non sai più da dove provieni?
Ossigeno è un romanzo denso. Denso di angoscia, di malinconia, di sofferenza. E assolutamente privo di quell'ossigeno che campeggia in copertina. Come già altri prima di me hanno evidenziato nelle loro recensioni, l'ossigeno è esattamente l'elemento che manca. Manca a Luca, il figlio del mostro, manca a Laura, la vittima sopravvissuta, manca alla madre di Laura, che non riconosce in quella donna alienata la bimba persa tanti anni prima. Questi sono i tre punti di vista che Naspini usa per raccontare il dopo, l'orrore non mentre viene perpetrato, ma quando ci si ritrova a raccogliere le macerie, con la consapevolezza che nulla potrà essere riedificato.
Mentre Luca cerca di ricostruire se stesso e la madre di Laura tenta di riconoscere quella figlia perduta, Laura dovrà imparare a vivere di nuovo.
L'essenza di Laura è rimasta in quel container, un utero che l'ha accolta per quattordici lunghi anni, che è stato prigione, ma anche culla, costrizione ma anche protezione. È come se dal container fosse uscito un guscio vuoto, che al pari di un neonato deve imparare a vivere, respirare, camminare, in uno spazio troppo grande, troppo pieno, troppo aperto, troppo sconosciuto. Ed ecco che la necessità di sentirsi di nuovo protetta da pareti che può toccare solo allungando un braccio, si fa necessità. Viene da chiedersi: cos'è la libertà? Sicuramente la risposta non è uguale per tutti.
Con una scrittura asciutta, quasi "nervosa" Naspini ci conduce al centro dell'angoscia per poi condurci al capitolo finale, che si ricollega al prologo, dove la domanda che campeggia per tutta la lettura, "perché?", trova una risposta. Agghiacciante.
Fate scorta di ossigeno e leggetelo. Ne varrà la pena.