Tutto comincia così: «Due anni prima di andarsene di casa mio padre disse a mia madre che ero molto brutta». Da quel momento la vita tranquilla, normale, protetta di Giovanna, figlia di piccoli intellettuali napoletani, la protagonista di La vita bugiarda degli adulti, il primo romanzo di Elena Ferrante dopo il formidabile quartetto napoletano, finisce. Giovanna, secondo il genitore, sarebbe brutta come zia Vittoria, la zia che non ha mai visto, la sorella rinnegata e maledetta dal padre, rimossa dalla famiglia come simbolo del male. Ma è davvero così brutta Vittoria, così terribile? Giovanna vuole scoprirlo perché vuole scoprire sé stessa. Decide di affrontare questa zia infame, di guardarsi allo specchio costi quello che costi. Per farlo attraversa tutta la città, dal Rione Alto a via Foria, da corso Garibaldi a via del Macello, dal Piano a via del Pascone, un percorso che segnato sulla mappa somiglia alla cicatrice di un taglio cesareo e si conclude in una Napoli senza mare e senza cielo, una Napoli «di cimiteri, di fiumare, di cani feroci, di sfiammate di gas, di scheletri di edifici abbandonati». Quando finalmente arriva a casa della zia indegna (secondo il padre), Giovanna si sorprende assai: «Vittoria mi sembrò di una bellezza così insopportabile che considerarla brutta diventava una necessità». Ha l'aria di una sciantosa, Vittoria. Le piace ballare (fu il fratello a vietarle il sogno di vivere danzando). E le piace l'amore, l'amore come lo celebravano i fotoromanzi. Giovanna è stordita a cospetto di tanta femminilità, del suo profumo brado: «Il suo seno grande emanava un odore di aghi di pino al sole». La ragazza deve ricredersi su tutto, deve imparare (e perdere) ogni cosa, deve diventare una spia e una ribelle... Chi pensava (temeva? si augurava?) che dopo L'amica geniale 1, 2, 3 e 4, Elena Ferrante non potesse scrivere più romanzi si dovrà ricredere. Ma ci sono ancora molte cose da dire.