Non leggo mai libri del genere, dovete pensare che, nonostante abbia comprato la autobiografia di Steve Jobs appena pubblicata, giace ancora intonsa nella mia libreria. Questo perché sono fermamente convinta che ogni libro abbia il suo momento per essere letto ed è per questo che da oggi farò molta più attenzione. Già perché per me La traversata è stata durissima, primo perché non era il momento giusto e secondo perché Lançon è fuori dalla mia portata. A differenza sua non sono né giornalista né critico e quindi giudicare un’opera di così alto spessore mi è impossibile, più di quanto è stato difficile portarla a termine. Quando mi è stata proposta la lettura a scopo recensione sono stata tentata di declinare, ma le parole di Giulio mi avevano colpito nel profondo, facendomi sentire quanto tenesse a questa pubblicazione: uno dei libri più importanti dell’anno. Un memoir coltissimo, un corpo a corpo col corpo, con la memoria, col trauma, con l’identità, con l’idea che abbiamo di Occidente. Un corpo a corpo con quello che ci rende ciò che siamo. Per me, un capolavoro. Come si può rifiutare dopo una dichiarazione d’amore simile? Impossibile farlo. Coltissimo questo memoir lo è davvero, sicuramente i palati più esigenti troveranno ciò che stanno cercando perché qui siamo davanti a un livello di scrittura altissimo, a un uomo di un’intelligenza acuta e ad una storia che è fortunato a poter raccontare.
Quel 7 gennaio 2015 avrebbe potuto perdere la vita, come i suoi compagni giornalisti di Charlie Hebdo invece di passare il calvario che ha dovuto subire, ma che lo vede ancora vivo e con tantissime possibilità di tornare a essere quello di un tempo. Quel 7 gennaio 2015 ho appreso la notizia dell’attacco terroristico dal telegiornale e devo ammettere che non sono stata una di quelle che ha pubblicato sui propri social ‘Je suis Charlie’ non perché io sia una persona insensibile o perché fossi dalla parte dei terroristi, ma perché le dimostrazioni social non fanno proprio per me. Fin dal momento in cui ho sentito dell’attacco ho cominciato a pensare, avevo un’idea di che tipo di satira mostrasse sulle proprie pagine Charlie Hebdo, alcune copertine hanno fatto il giro del mondo, e mi sono domandata come fosse possibile che gente così colta non si fosse resa conto di essere andata tanto oltre. Non sono una persona religiosa, il mio rapporto con la fede è stato sempre marginale, ma il fanatismo c’è in ogni religione, alcune popolazioni sono più evolute e questo fanatismo lo hanno sfogato centinaia, addirittura migliaia di anni fa, mentre altre vivono il loro fanatismo ai giorni nostri, facendone un vanto e credendo di essere in diritto di rispondere a delle provocazioni con la violenza. Quindi la domanda che mi è passata per la mente fin dal momento in cui ho assistito alla notizia alla tv è stata: non si sono resi conto che questo avrebbe potuto essere l’epilogo? Perché qui non stiamo parlando di libertà di parola o di opinione, qui stiamo parlando di pestare la coda a un cane che ha già mostrato in diverse occasioni di essere pronto a sbranare chiunque, anche chi non gli ha fatto nulla. Tantissima gente innocente è morta negli ultimi vent’anni ‘in nome della religione’ e ci sono città in cui si vive con la paura che possa succedere qualcosa da un momento all’altro. Quindi perché calcare così la mano? Perché tirare in ballo chi si sa che non proverà nemmeno a comprendere il tuo punto di vista?
Philippe Lançon risponde a queste mie domande già nelle prime pagine, lui è un uomo libero e in quella redazione ci sta benissimo, il clima aperto che si respira, l’intelligenza dei suoi colleghi. A Charlie Hebdo le censure non esistono, ognuno di loro è libero di provocare e all’interno della redazione esistono posizioni contrastanti su diversi temi, ma questo non impedisce loro di vivere in un clima sereno e stimolante. Philippe quel 7 gennaio è felice di passare in redazione per la loro riunione di inizio anno, ha proprio voglia di vedere i suoi colleghi e parlare con loro dell’ultimo libro di Houellebecq che ha scatenato reazioni contrastanti e di cui scriverà per l’altro giornale con cui collabora, Libération. Di certo nessuno di loro si immagina che facciano irruzione due uomini armati decisi ad annientare lo spirito indomito di questo giornale che ha osato, più di una volta, utilizzare il volto di Maometto per le loro vignette satiriche. Il bilancio è gravissimo: dodici morti e undici feriti. Uno di questi feriti è Philippe ed è attraverso i suoi occhi che scopriamo i ricordi che ha del momento in cui due gambe fasciate di nero entrano nel suo campo visivo e che credendolo morto, il sangue intorno sotto la sua testa dovrebbe indicare questo, lo lasciano ferito tra i suoi colleghi morti. Ciò che vede quel giorno resterà impresso in maniera indelebile nella sua memoria, ma il verdetto su di lui è chiaro: è ancora vivo, il suo volto è sfigurato, ma è ancora vivo. E da qui inizia la sua Odissea, fatta di mesi e mesi in ospedale, di tantissime operazioni, di rapporti veri che si consolidano e di altri che nascono senza evolversi. Philippe Lançon, grazie alla sua scrittura minuziosa che si sofferma sui dettagli, è in grado di far vivere al lettore le sue pene e le sue conquiste. Non pensate di trovarvi davanti a un libro che parla solo del momento che sta vivendo, lui spazia all’infinito, va indietro nel tempo, ci presenta persone che per noi sono solo nomi, ma per lui hanno significato qualcosa, ci mostra il presente e il passato, ci regala un quadro completo della sua vita prima e dopo il 7 gennaio 2015 e lo fa con una dovizia di particolari e una lucidità incredibili. Ammiro la sua memoria e la sua eloquenza, così come ammiro la sua cultura e la sua capacità di analisi. Lançon non si lascia abbattere, non ne esce sconfitto e non ha paura di mostrarsi per quello che è, facendo anche molta introspezione. Ci mostra se stesso senza filtri, senza abbellimenti, si denuda di fronte al lettore senza timori.
L’ultimo appunto lo voglio spendere sulla copertina che mostra un’opera di Alberto Burri, Rosso plastica, immagine più evocativa non poteva essere trovata, sembra pelle lacerata, esprime dolore e sofferenza, chi la vede e sceglie La traversata può già immaginare parte di ciò che dovrà attraversare, ma in questo libro c’è molto più del calvario, c’è una vita degna di essere vissuta e raccontata.