Vediamo cosa rimane? Vediamo cosa accade quando nelle tue vene scorre il sangue di un mostro? O quando a soffocarti è l'aria aperta?
Ossigeno è la storia di un mostro, letta con gli occhi delle sue vittime. E non necessariamente le vittime sono state rinchiuse.
C'è Luca, che è seduto a tavola con quel padre così comune; cenano. Qualche parola scambiata per forzare la lieve tensione che un piccolo battibecco si lascia dietro. La tavola apparecchiata per due, due come i componenti di quella famiglia fatta, ormai da troppo tempo, di un numero pari.
Il campanello che suona, i carabinieri sull'uscio e la vita di Luca che va in apnea.
Era il 6 ottobre del 2013. Come tutti sanno, il professor Carlo Maria Balestri fu accusato di rapimento, tortura, omicidio e occultamento di cadavere. Avevo ventisette anni, lui cinquantanove. E rimanevo solo al mondo.
C'è Laura, otto anni, un cortile, l'estate, l'amica del cuore che insiste perché lei esca a giocare. Poi il buio: un container, del cibo, acqua, libri quaderni penne e una catena al collo.
Un letto, due secchi al posto del water e una bambola come unica compagnia.
Quattordici anni trascorsi così, col corpo che cambia, mentre tutto attorno rimane immutato; la mente plasmata dai libri che il mostro le concede e fuori il mondo procede, veloce, inarrestabile.
E poi quella porta si apre, qualcuno ti mette una mano sulla spalla, ti dice "sei libera" e tu vai in apnea.
Tra le pagine di questo nuovo romanzo di Sacha Naspini, ciò che più manca è proprio quell'ossigeno che appare nel titolo.
Dalla prima all'ultima riga di questa intensa storia, infatti, il lettore vivrà in una sorta di bolla assolutamente priva di aria, arrivando a quell'ultima e rivelatrice riga quasi in affanno.
Un affanno, attenzione, dovuto al crescente stupore che l'autore instilla nello spettatore inconsapevole della sua magia!
Saranno gli occhi del figlio a guidarci nelle gesta di un uomo qualunque, un professore stimato, conosciuto, acclamato, un marito devoto, un padre affettuoso, a tratti anche apprensivo.
Un uomo come quelli che incontriamo ogni giorno, magari sulle scale del condominio in cui viviamo o davanti la scuola di nostro figlio.
Un mostro in maniche di camicia, con un po' di pancia, la calvizie che avanza, un sorriso gentile e il buio profondo dietro le lenti di quegli occhiali che scivolano sul naso.
Non c'è un parola fuori posto in ciò che Naspini sceglie di raccontarci; c'è solo lo stupore che assale quando ci si accorge di essere quelli che il mostro lo guardano da vicino, ma non possono toccarlo; c'è l'accettazione, lenta e inesorabile, del poter essere, forse, quel mostro, quel cuore oscuro e insospettabile che un po' in ognuno di noi.
Perché siamo tutti ossigeno, ma siamo anche apnea. Perché siamo tutti bambini ignari e spaventati, siamo figli lasciati alla vita con un marchio indelebile che ci scorre dentro.