Quando nel 2018 ha deciso di buttarsi nel campo del fantastico, edizioni e/o ha definito la propria scelta una scommessa, come sempre si fa in questi casi. D’altra parte, ragionando in linea teorica, la casa editrice romana fino a quel momento aveva pubblicato solo opere le cui radici affondavano saldamente nel realismo. Nessuno dunque poteva garantire che il lettore abituale di e/o, quello magari di solito attivato già dalle classiche copertine dell’editore o salito a bordo per la Ferrante, fosse disposto ad accordare fiducia a priori alla saga dell’Attraversaspecchi. Ritornando nel territorio della concretezza, tuttavia, la capacità di selezione di e/o si è già dimostrata di altissimo livello, mentre i libri di Christelle Dabos hanno riscosso un successo traducibile in centinaia di migliaia di copie, premi letterari e recensioni entusiaste oltralpe. Forse, dunque, non si è trattato di un vero e proprio azzardo, ma arrivati al terzo volume, ovvero La memoria di Babel, la vittoria non è di certo più in discussione.
Se il primo capitolo della saga, I fidanzati dell’inverno, poteva contare sull’effetto sorpresa e quel senso di meravigli garantito dal primo sguardo su un immaginario fantastico, i due volumi successivi avevano un compito decisamente più gravoso: confermare le doti di scrittura della Dabos e puntellare il mondo immaginario da lei creato di luoghi al contempo credibili, ma altrettanto stupefacenti.
Riesaminandoli a ritroso, è affascinante notare come i tre capitoli della saga tendano ad assomigliarsi nella struttura pur risultando di fatto piuttosto differenti, soprattutto per quanto riguarda le sensazioni trasmesse al momento della lettura. La memoria di Babel ci presenta ancora una volta la protagonista Ofelia lontana dalla sua Arca natia e costretta a celare a chi la circonda la sua vera identità. Lo scopo è sempre quello di raccogliere informazioni su Dio, l‘essere multiforme che secondo le profezie farà crollare le Arche, la cui infanzia parrebbe sovrapporsi a quella degli Spiriti di famiglia, ma il cui presente si intreccia ormai pericolosamente da tempo con quello di Ofelia e Thorn, scampati per miracolo da un primo faccia a faccia di cui portano ancora i segni.
Sono proprio le conseguenze di quell’inatteso incontro, che si svolge nella parte finale de Gli scomparsi di Chiardiluna, a condizionare le atmosfere di questo terzo libro. Scossa e ferita, più nella psiche che nel fisico, dalle risorse dell’onnipotente (?) avversario, Ofelia si imbarca in una missione solitaria su Babel, l’Arca della memoria, per cercare indizi su cosa sia successo all’alba dei tempi. Ora però è certa di essere in pericolo e deve muoversi sottotraccia, cercando di dare nell’occhio il meno possibile.
Un approccio che inconsciamente risulta mimetico a quello dell’arca stessa, un luogo apparentemente pacificato e votato alla ricerca del sapere, ma nei cui sotterranei covano correnti di rivolta mai sopite, alimentate dal clima di censura che aleggia sull’intera società. Babel è un luogo in cui è persino negato il diritto di pronunciare in pubblico le parole considerate sconvenienti. Allo stesso modo Ofelia è costretta a fare i conte con le forze che la agitano all’interno, una paura strisciante e una convinzione che inizia a venire meno, sorretta ormai più dalla volontà di ritrovare Thorn, forse ora davvero amato quasi contro la sua stessa volontà, che dalla ricerca della verità.
Se il Polo era la falsità manifesta, con i suoi incantesimi che trasfiguravano gli ambienti piegando ogni legge fisica al volere degli esecutori al fine di sfoggiare quel lusso, quella ricchezza e quel calore necessari a nascondere subdole trame e odiosi intrighi, su Babel la corruzione che corrode il mondo dell’Attraversaspecchi è più strisciante, mascherata dall’accettabile decoro su cui poggiano tanto l’architettura quanto le convenzioni sociali.
Il cambio di ambientazione e toni, più cupi e disillusi rispetto al passato, viene gestito con naturalezza da Christelle Dabos che continua a costellare le pagine dei suoi romanzi di colpi di scena e piccoli misteri a un ritmo così incessante da frastornare il lettore e costringerlo a rimanere avvinghiato alle pagine. Questa capacità di stupire, tuttavia, sarebbe meno efficace se non fosse sorretta dall’altro grande talento della Dabos, quello immaginifico.
Il meccanismo narrativo richiama alla mente quello delle avventure LucasArts. Ofelia è costantemente in viaggio da una parte all’altra di Babel nel tentativo di mettere insieme i pezzi di enigma gigantesco, forse più grande dell’umanità stessa, che necessita tuttavia di essere risolto un micro-tassello per volta. Il primo passo è la comprensione di Babel stessa, Arca all’apparenza pacifica, ma in realtà rigidamente strutturata in caste, in cui gli automi hanno sostituito gli umani nei lavori più umili. Sotto la calma apparente dunque covano rancori sociali mai del tutto sopiti, figli di una purga di cui è vietato parlare, ma che in molti ancora ricordano, e acuiti dal timore della sostituzione da parte dell’automazione vissuto dagli ultimi sulla scala sociale.
Dopo i lussuosi e scoppiettanti inganni del Polo che nascondevano il più umano degli squallori, su Babel sono le architetture impossibili e la curiosità degli abiti a scatenare la fantasia dell’autrice francese. Per spostarsi da un luogo all’altro su Babel ci si affida ai trenuccello, enormi volatili che trasportano comode cabine passeggeri in volo senza accumulare mai un ritardo, mentre nella biblioteca un innovativo sistema consente di camminare su tutte le superfici, incluse quelle verticali, come in un quadro di Escher. La convergenza su questa Arca di cittadini provenienti dai più remoti angoli del mondo frantumato fornisce alla Dabos la possibilità di ampliare lo sguardo non solo sui costumi del suo universo narrativo, ma anche sugli usi, aggiungendo un po’ di profondità ai luoghi e ai personaggi più lontani dall’orbita della protagonista, colmando una piccola lacuna che aveva caratterizzato i precedenti volumi.
Per quanto poi il materiale di partenza sia in gran parte noto, dalla mitologia più classifica ai riferimenti fantasy/sci-fi più celebri, la rielaborazione della Dabos fatta di contaminazioni e riletture riesce a rendere il materiale finale se non del tutto originale, di sicuro sorprendente. Perché pur aderendo a una serie di canoni che consentono di avvertire le vicende di Ofelia e dei suoi bizzarri compagni di viaggio come eventi familiari, di fondo non si sa mai cosa aspettarsi ad ogni cambio di pagina. Il risultato è un libro, anzi una saga, che tiene il lettore incollato precipitandolo nel suo universo narrativo con una manciata di paragrafi, ma che al contempo riesce a parlare a quello stesso lettore di quanto potere ci sia nel controllo e degli effetti che la manipolazione della memoria collettiva può avere sulla nostra vita quotidiana.
Ora il problema più grosso è aspettare il quarto e conclusivo volume della saga e in questo senso la strategia editoriale di edizioni e/o, che ha optato nella dilazione sull’arco di un anno dei primi tre volumi disponibili, dovrebbe aver pagato. Al momento della traduzione – ottima e scorrevole, sempre a firma di Alberto Bracci Testasecca – del primo volume, la conclusione delle avventure di Ofelia esisteva ancora solo nella penna – o meno prosaicamente nel file doc – della sua autrice. A fine novembre 2019 tuttavia è uscito in Francia La Tempête des échos, quarto e ultimo capitolo dell’Attraversaspecchi: secondo noi, e ci sentiamo di dirlo con cognizione di causa – l’attesa per leggerne la versione italiana non sarà troppo lunga.