Può il terribile essere appassionante? O ciò sconfinerebbe nella morbosità? No, forse l'aggettivo giusto è... travolgente. Ma bisogna difendersi da quel che tracima se si tratta della, se pur talora invisibile, violenza del mondo. Una forza bruta che agisce anche nel silenzio, dietro le quinte, ai più ignota fuorché a carnefici e vittime.
E di quanto ossigeno abbiamo bisogno per vivere, anzi sopravvivere, in un container con la catena al collo? Per quattordici anni...
Laura è stata rapita all'età di otto anni e ritrovata casualmente dai carabinieri dopo quel lungo lasso di tempo. Il suo rapitore è il raffinato e gentile agli occhi del mondo Professor Balestri, stimatissimo e ammiratissimo antropologo, docente senza pari, scrittore di chiara fama, conferenziere conteso. Una doppia vita, la sua. E in quella da Mister Hyde è il protagonista di un folle esperimento. Nel mutismo assoluto che s'impone di fronte alla propria vittima (e che le impone) il carceriere-intellettuale provvede al nutrimento fisico e culturale della bambina, poi adolescente, poi giovane, in uno schema disperatamente e spietatamente perfetto. E se non ci fossero stati quei ladruncoli fuggiti nella boscaglia dopo essersi persi nella campagna profonda poiché inseguiti dalle forze dell'ordine, creando quindi da parte di queste ultime il caso dell'inopinato ritrovamento? Laura sarebbe stata prigioniera per sempre in quanto “rapita ideale”? O avrebbe fatto la medesima fine delle sventurate prima di lei?
È claustrofobico Ossigeno di Sacha Naspini. Claustrofobico e “appassionante” (meglio usare le virgolette). La sua scrittura inchioda il lettore. E in fondo non (ri)lascia facili soluzioni. La soggettiva della narrazione è vissuta e ripercorsa con la vista e la mente del figlio del “mostro del golfo”, della madre di Laura, di Laura.
Una sciagurata eco risuona e perdura dentro i protagonisti e dentro i lettori, e obnubila, devasta il cuore. Una gabbia di ferro compatto rinchiude con una definitività apocalittica. Ma rinchiude anche chi è apparentemente libero, fuori? Questo l'enigma, l'ossessione, la coazione. Chi è prigioniero di chi o di che cosa? E ci potrà mai essere riscatto? La libertà esiste? La vita procede per addizione o per sottrazione? Una storia, oseremmo dire, esiziale; un apologo, una parabola del continuo presente che fagocita, che ingloba senza pietà e trita possibilità e potenzialità. Chi cattura chi? Il carceriere è prigioniero della sua mania-malattia-follia. Chi insegue chi? L'inseguitore è inseguito dall'inseguita. Un ribaltamento totale di senso. Possiamo camminare verso orizzonti di salvezza, per quanto insperata?
Siamo figli delle nostre azioni e delle inazioni, figli di un destino scelto da altri. Il capitolo finale è una proiezione nel futuro. Lieto fine? E c'è mai, veramente, un lieto fine o, semplicemente, esiste una perennità di eventi, un ciclo non spezzabile?
La scrittura di Naspini è serrata, non dà tregua. Bellissimo stile per un romanzo temibile, come una scintillante lama nel tremendo buio dei pensieri.
La pioggia va e viene. Nei momenti di quiete resti immobile: due silenzi a confronto. Non un rubinetto aperto, non una maniglia abbassata. Sai che il metallo è uno scudo, ma là dentro si cambia, accade qualcosa, i sensi dilagano. La disperazione può fare magie.
Gli stremati strenui abissi della quotidianità. Mari di disperata solitudine. Un totale spaesamento esistenziale. Siamo come isole sperse in un'inconoscibile immensità.
Il Male ha una faccia grigia, autorevole: camuffato camuffa; puoi non vederlo, ma sentirlo morderti ogni fibra psichica; remoto e spaventosamente sopra di te; t'invade, t'invade, sei senza difese... Perché?
E Naspini è un autore formidabile.