7 gennaio del 2015, e Philippe uno dei tanti giornalisti e vignettisti presenti alla riunione di redazione di Charlie Hebdo: dodici persone sono morte lì dentro o nei pressi; undici sono rimaste ferite, tra cui Lançon, tornato alla vita dopo una lunga e perigliosa Traversata, come il suo mémoire in libreria con i tipi di e/o da mercoledì, pubblicato per la prima volta in Francia nel 2018 con il titolo Le Lambeau (il lembo, il brandello, ndr) e già vincitore del Femina e del Prix Renaudot Spécial.
Due ospedali, cinque stanze, quindici operazioni chirurgiche, nove mesi di ricovero: una gestazione, un parto a nuova vita con la scrittura a fare da ostetrica. Il cronista, a cui hanno ammazzato le parole in gola, ha potuto “reimparare a vivere” solo vomitando le parole su carta: ne è uscito un libro struggente, da affrontare armati di lacrime, senza il conforto di nessuno, nemmeno degli Antichi Maestri. “Nulla che è così, è così”, sta scolpito citando Shakespeare della Dodicesima notte – proprio la notte della Befana, la vigilia dell’attentato –, ultima pièce a cui ha assistito Lançon prima della strage. La recensione non l’ha più scritta, ma ha continuato a rileggere quell’opera “come un enigma, per trovarci segnali o spiegazioni di quanto stava per succedere”. È il rischio che si corre anche con questo libro, una “particolare opera di finzione che è l’eccesso brutale di realtà”.
Così, sospesa tra incubo e magia, scorre questa “traversata ospedaliera”, questo “soggiorno insulare e psichico”, tra amuleti salvavita – come il saggio di jazz Blue Note – e triviali tranche de vie: è quasi impossibile districare l’onirico dal reale perché Lançon, come Houellebecq, si dimostra un bravo romanziere, e “un bravo romanziere ha sempre ragione... Quando si sopravvive, tutto il resto gli è sottomesso”. E di Sottomissione si sta appunto parlando in quell’inizio dell’anno in Francia: in tv, nelle redazioni dei giornali, persino in ospedale. Proprio di quell’ultima fiction di Houellebecq discute la dottoressa Chloé in pausa pranzo, interrotta dall’allarme di sala: c’è un paziente da operare d’urgenza, il suo nome è Philippe Lançon, in ambulanza si è premurato di tirare fuori la carta d’identità e la tessera sanitaria. Il puntiglio del piccolo borghese sopravvive a tutto: i difetti, così come i morti, non lasciano mai soli i vivi. Nel “silenzio e sangue” della redazione falciata Lançon ricorda molti dei compagni massacrati: Charb dal volto sfigurato; il cervello che esce dal cranio di Bernard Maris; Tignous, “morto con la penna in mano come a Pompei”; Wolinski addossato alla parete.
Nel limbo della degenza i morti si sovrappongono ai vivi, alcune relazioni si ricuciono, altre si sfilacciano, come le ferite sul corpo di Philippe: i fantasmi sfilano insieme coi genitori ottantenni, il fratello Arnaud, la compagna Gabriela, l’ex moglie Marilyn, le infermiere... Nel limbo tra vivi e morti sta Philippe, un “mostro” afono, che sfrutta i “punti interrogativi come ganci a cui reggersi”. Sta lì sospeso Philippe, sull’abisso tra “chi è rimasto dalla parte giusta della vita” e “chi è precipitato nell’orrore”. Nessun ponte collega le due sponde, nessuna riconciliazione o sutura sono possibili: “In mezzo resta un buco”. E chi ha tentato la Traversata vi è finito dentro. Non è morto, è vero, ma continuerà per sempre a zoppicare.