Quella del piccolo serpente è una fiaba che, già dalle prime righe, suona famigliare. Sarà perché i due protagonisti sono un serpente e una bambina; sarà perché si intuisce che diventeranno amici e che entrambi impareranno una lezione importante. Forse è proprio il serpente che si ha l’impressione di conoscere già. Un serpente magico, stupendo e con un dono potente. Oserei dire fatale. Ha tanti nomi il serpente, ma sceglie di presentarsi alla bambina come Lanmo (qualcuno conosce l’haitiano? Perché è proprio da lì che viene questo nome). Lanmo è velocissimo – sembra quasi sparire, a volte – si trasforma in quello che vuole e ha una voce suadente «morbida come il velluto». Sorride e assaggia l’aria con la lingua, lo fa spesso. La bambina invece si chiama Mary, è una bambina sveglia e da grande vuole fare l’esploratrice. Vive in una città, di cui non sappiamo il nome. Sappiamo però che nel cielo, sopra i tetti della città, la gente faceva volare aquiloni colorati.
Il primo incontro tra Mary e Lanmo avviene così, per caso, in un giardino «poco più grande di una grossa tovaglia». Mary lo scambia per un braccialetto (anche questo, dove l’avevo già sentito?). Il serpente ha fame, le chiede un topo. Mary le offre del formaggio e gli fa un sacco di domande, perché capisce che c’è qualcosa di straordinario in questo bizzarro serpente color dell’oro, con gli occhi intelligenti rossi come rubini e «i denti piccoli, aguzzi come ossa». I due imparano a conoscersi e diventano grandi amici. Anche quando Lanmo deve partire per i suoi viaggi e lascia Mary da sola, pensa sempre alla sua amica e le manda sogni bellissimi. Il serpente fa un lavoro impegnativo che lo porta a “fare visita” alle persone: molte piangono quando lo vedono, altre supplicano, poche sorridono. Ma finito di assolvere ai suoi doveri, il serpente torna sempre da Mary. Che diventa grande e, ogni volta, più bella. Con lei fa esperienze nuove e divertenti. Come quella volta che, per sbaglio, spalanca le fauci e mangia Ombra (il nuovo gattino) pensando che Mary glielo stesse offrendo per pranzo (niente paura, non lo manda giù); o quando assaggia il gelato per la prima volta e gli si ghiaccia la lingua tanto da non sentire niente e non riuscire più a parlare. Non solo, man mano che passano gli anni il serpente scopre emozioni nuove: l’affetto per Mary e la sua famiglia (inizialmente era molto diffidente), la gelosia per Paul (l’amichetto nonché futuro marito di Mary), la nostalgia di casa, l’apprensione e il senso di colpa quando è lontano. Scopre soprattutto di avere un cuore che batte e capisce cos’è la felicità. Per questo, nello scenario triste e desolato con sfumature quasi apocalittiche degli ultimi capitoli, aiuterà Mary a sopravvivere alla guerra. Le indicherà il cammino da seguire per scappare, insieme a Paul e trovare un luogo per vivere «felice e contenta». Fino all’incontro finale, che però non è una vera fine.
La storia del piccolo serpente e della bambina è narrata con grande tenerezza. L’autrice è bravissima a vestire i panni dei personaggi e a raccontare le cose dal loro punto di vista. Questo atteggiamento camaleontico – in questa recensione i rettili sono dappertutto! – si riflette nella lingua che utilizza. È dolce, quando parla Mary, dove prevale la struttura paratattica delle «e..e…» giustapposte, tipiche della parlata dei bambini. Ed è sonora e ipnotica, quando a parlare è invece Lanmo che con le sue melodiose parole sa incantare i lettori, ma non rinuncia a mostrare il suo caratterino pungente. Oltre ad alternare i punti di vista, il narratore interrompe spesso la narrazione per commentare e far sentire la sua voce. È onnisciente, conosce la storia nel dettaglio e, da buon regista, guida il lettore svelando anche qualche piccolo retroscena. L’atmosfera generale è pacifica, ma spesso il tono cambia e si fa austero, quasi epico. La narrazione è infatti fuori dal tempo e dallo spazio, inconclusa perché non c’è un vero finale, quindi circolare. Ricorda il linguaggio musicale e il ritmo dei grandi poemi omerici.
«Lontano da Mary, il serpente che lei chiamava Lanmo viaggiò per il mondo in molte terre lontane e molte terre vicine […]. A volte, quando la notte scivolava oltre la curva del mondo e allungava le sue ombre sul paese in cui egli si trovava in quel momento, Lanmo riusciva a riposare, arrotolandosi in spire e facendo guizzare nel vento la lingua intelligente […]
Infine l’autrice usa parole molto visive che servono a caratterizzare meglio i personaggi, a volte sotto forma di epiteti che ritornano come ritornelli (gli occhi rosso rubino, i denti bianchi come ossa, testa color dell’oro) altre come perifrasi,:
«E lui fece vibrare le squame, perché producessero un suono argentino, come di qualcuno con dita di ghiaccio che suonasse un’arpa di cristallo in un luogo lontano e pieno di pace».
Non è così facile tradurre testi apparentemente facili. Chi traduce testi per bambini, lo sa: il rischio è quello di banalizzare il linguaggio. La traduttrice Silvia Montis non ha solo schivato l’ostacolo, ma è riuscita a rendere la lingua incantevolmente musicale dell’inglese. La sfida più difficile infatti era la resa del “serpentese” ovvero la lingua enigmatica di Lanmo, con il suo tono inquietante e perentorio che si inceppa qua e là per qualche guizzo di lingua biforcuta. Questi guizzi richiedono di lavorare molto sul linguaggio e, soprattutto, una grande creatività nel tradurre, ad esempio per riprodurre un suono dell’originale:
To the left and to the right of his front teeth he had a longer fang that was most especially pointed.
“Goodness.”
“I eeth ill oh ur oooh.” said Lanmo the snake.
“I beg your pardon?” Mary had been taught to be polite.
Lanmo closed his mouth and his needly teeth fitted together very perfectly for an instant, before he tried again to speak, “My teeth will not hurt you.”
“Oh.”
“I promise.”
***
A destra e a sinistra dei denti davanti c’era un dente velenifero, molto più lungo e particolarmente appuntito.
«Oh, cielo».
«Ii mieii detion ifaaaanoodemaae» disse Lanmo il serpente.
«Come, prego?». A Mary era stato insegnato che doveva essere educata.
Lanmo richiuse la bocca e per un istante i denti aguzzi combaciarono alla perfezione, prima che il serpente tentasse di nuovo di parlare.
«I miei denti non ti faranno del male».
«Oh».
«Te lo prometto».
Una nota sui dialoghi, altro possibile tasto dolente. Come la scrittrice, credo che Silvia Montis sia stata brava a calarsi nei personaggi e a trasmettere la loro personalità attraverso la traduzione. Come in questo breve scambio, tratto dal I capitolo: Mary molto realistica, che tiene testa al serpente; Lanmo velenoso, che le tira le frecciatine:
“Some snakes can bite you once and fill you with enough poison to kill 20 men, 50 men, maybe 100 men.”
“I’m not a man,” said Mary. “I am a little girl.”
The snake blinked, “You are being difficult. A snake could poison you even faster than a man because the poison would have less far to travel.”
Mary nodded, “I know. Although I think even a very huge and ferocious snake might not kill 100 men.”
“Definitely at least 20.” The snake sounded slightly cross.
***
«Certi serpenti possono morderti una volta sola e iniettarti una quantità di veleno tale da uccidere venti uomini, cinquanta uomini, forse addirittura cento».
«Io non sono un uomo» replicò Mary. «Sono una bambina».
Il serpente batté le palpebre. «Stai facendo la difficile. Un serpente può avvelenarti anche più in fretta di quanto farebbe con un uomo, perché il veleno dovrebbe percorrere meno strada».
Mary annuì: «Lo so. Però credo che neppure il più grosso e veloce dei serpenti possa uccidere cento uomini».
«Almeno venti, senza ombra di dubbio». Il serpente sembrava un po’ seccato.
Ho apprezzato molto la traduzione perché la traduttrice gira le frasi (sotto, nell’esempio in rosso) e riesce a rendere la lettura fluida. Il testo scorre veloce e questo è importante, considerando che si tratta di una fiaba rivolta a bambini e adulti. La versione italiana rispetta lo stile paratattico dell’originale e mantiene gli and ripetuti più volte nella stessa frase (giallo). Rispecchia infine il ritmo del testo in inglese che, come il protagonista Lanmo, tende a raggomitolarsi sulle sue spire: riproduce gli epiteti che ripropone identici senza temere la ripetizione di parole o strutture sintattiche (verde le parole, blu le frasi), e soprattutto conserva la solennità di certe scene.
And the snake passed, faster than threats or rumors, over the world. He met with many humans to do his work. He met a woman who loved the shape of bicycles leaning against walls and he met a boy who loved apples and a young woman who played the violin and who loved a young woman who played the flute and he met an old man who hated everyone he saw for reasons he told no one.
***
E il serpente correva per il mondo, più rapido di voci o minacce. Per fare il suo lavoro incontrava molti esseri umani. Incontrò una donna che amava la forma delle biciclette poggiate contro i muri e incontrò un ragazzo che amava le mele e una giovane donna che suonava il violino e che amava una giovane donna che suonava il flauto e incontrò un vecchio che odiava tutti per motivi che non diceva a nessuno.