Ho cominciato a leggere l’ultimo romanzo di Elena Ferrante con una certa difficoltà.
Certo, appena ho saputo che era in libreria ho dovuto procurarmi una copia de La vita bugiarda degli adulti, e ho resistito appena poche ore prima di iniziare a sfogliarlo. La quadrilogia dell’Amica geniale è stata una delle saghe letterarie più rivelatrici della mia vita, tra quelle pochissime opere che negli ultimi anni è riuscita a unire in me il sincero gusto per la lettura, quello che impedisce di spegnere la luce la notte pur di sapere come continua la storia, alla consapevolezza di avere tra le mani un prodotto letterario importante.
Proprio per questo la notizia che l’autrice ha scritto un libro nuovo ha suscitato in me, che non ho letto le sue opere precedenti proprio per paura di rovinarmi in qualche modo la storia di Lila e Lenù, sentimenti contrastanti. Volevo esser parte del dibattito che inevitabilmente sarebbe nato intorno a questo romanzo, ma temevo che non l’avrei letto con il dovuto distacco: la tentazione di fare confronti sarebbe stata sempre dietro l’angolo, e dare un giudizio oggettivo sull’opera mi avrebbe messa in seria difficoltà.
Così, per prima cosa ho azzerato le mie aspettative: ho cominciato a leggere senza aspettarmi assolutamente niente, quasi partendo dal presupposto che sarei rimasta delusa. Per le prime dieci, quindici pagine ho mantenuto un certo distacco: leggevo e mi dicevo che tutto sommato non c’era nessuna magia in quelle parole incastrate una dietro l’altra, che erano solo parole qualsiasi che raccontavano una storia qualunque.
Poi ad un certo punto, più o meno nel momento in cui entra teatralmente in scena zia Vittoria, ho visto ripetersi lo strano incanto de L’amica geniale: quando avevo cominciato a leggere ero tutta intera e quelle parole mi stavano lentamente aprendo la pancia, svelandomi com’ero fatta dentro e dove si trovavano pezzi di cui non sapevo neanche di essere composta.
La vita bugiarda degli adulti è la storia dell’adolescenza di Giovanna, la voce narrante, una ragazzina di buona famiglia cresciuta nella parte alta di Napoli, a San Giacomo dei Capri. All’inizio del romanzo Giovanna ha dodici anni, vive ancora nel clima ovattato dell’infanzia in cui i suoi genitori, entrambi insegnanti e intellettuali, sono i punti di riferimento più importanti e l’obiettivo di ogni giornata è renderli fieri e non scontentarli.
In particolare, Giovanna vive nel culto del padre, Andrea Trada, che si è impegnato a farla crescere in un ambiente privilegiato, stimolante, moderno, in cui non c’è niente di proibito o di censurato, praticamente nella famiglia del Mulino Bianco. Tutto cambia quando Giovanna sente l’amato padre dire di lei che somiglia a sua sorella Vittoria, un fantasma di bruttezza e cattiveria con cui la famiglia ha da tempo tagliato tutti i ponti. In questo modo la bambina scopre all’improvviso di essere brutta e nasce in lei una nuova ossessione: vedere la zia Vittoria per scontrarsi con lo spettro del suo futuro.
Inizia così il viaggio metaforico e letterale di Giovanna tra una Napoli di sopra, che è quella dei suoi genitori e si rivela presto una facciata vuota e finta, e una Napoli di sotto, su cui domina zia Vittoria, non meno insidiosa ma per lo meno vera e viva. La prima cosa che la protagonista scopre sul mondo degli adulti è la loro abitudine a mentire. I suoi genitori non sono perfetti come se li è sempre immaginati, la loro vita tranquilla e ordinata è una costruzione a tavolino, ma anche zia Vittoria non è il personaggio assoluto che appare all’inizio e Giovanna deve imparare ad avere senso critico, a vedere le persone senza filtri, così come sono. L’unico modo per farsi strada in questa nuova realtà è, come capirà presto, diventare a sua volta bugiarda.
Come ne L’amica geniale, individuare i cattivi nell’universo minuzioso creato dall’autrice è relativamente facile: Andrea Trada, l’uomo perfetto, buono e generoso che Giovanna venera durante l’infanzia, si svela come il villain della vicenda prima di perdere totalmente significato. Capire chi sono i buoni è invece più difficile: man mano che Giovanna cresce le persone e le cose intorno a lei si svuotano di qualsiasi tratto positivo. La salvezza e la pace sembrano possibili per lei solo tramite la ratifica e l’approvazione di un uomo: la ragazza stessa percepisce l’assurdità di questa situazione, ma non riesce ad impedirla.
La vita bugiarda degli adulti presenta tutti i tratti fondamentali di un buon romanzo di formazione. La complessità della prosa e della storia cresce insieme a Giovanna, la banalità degli adulti viene rappresentata senza pietà e sullo sfondo emerge una Napoli contraddittoria, bieca e intellettuale allo stesso tempo. È impossibile rifiutare una delle due facce di questa città complessa senza scivolare nella più atroce mediocrità, come è accaduto al padre della protagonista.
Manca la catarsi conclusiva, probabilmente perché il finale aperto lascia presagire un seguito. Non ho apprezzato questo spiraglio verso pubblicazioni future, che rischia di rendere inutilmente aggrovigliata una storia che avrebbe potuto bastare a se stessa. Le trame di Elena Ferrante hanno la tendenza a diventare molto complicate e a svolgersi in mondi dove sembra che i soliti dieci, quindici personaggi non facciano altro che incontrarsi per caso e intrecciare le proprie vite in un disegno senza scampo. Questa caratteristica ricalcava abbastanza fedelmente la vita reale e l’impossibilità di una redenzione ne L’amica geniale e bisogna augurarsi che non diventi un limite nell’ipotetico sequel de La vita bugiarda degli adulti.
Se un prossimo romanzo ci sarà, in ogni caso, io sono pronta a leggerlo senza aspettative e ad essere nuovamente contraddetta.