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La scrittrice geniale. I grandi vietano le bugie ma vivono di menzogne

Autore: Lucia Esposito
Testata: Libero
Data: 6 novembre 2019

La mail con l'allegato di trecento e passa pagine arriva intorno all'una di notte, a giornali ormai chiusi, quando nessuno può scriverne. Per aprire il documento serve un codice segreto diffuso dall'ufficio stampa. Sembra di essere al centro di una missione segreta, invece è l'unico modo per leggere in anteprima la versione digitale dell'ultimo, attesissimo, romanzo di Elena Ferrante, «La vita bugiarda degli adulti» (edizioni e/o, 336 pagine, euro 19). Il libro della scrittrice misteriosa su cui sono state riempite pagine di giornali ma di cui si sa con certezza solo che è napoletana, arriva cinque anni dopo il quarto volume della saga de «L'amica geniale».

Impossibile resistere. E così, nel cuore di una notte di novembre, siamo stati trascinati dalla potenza narrativa della Ferrante nella vita di Giovanna. Una ragazzina di dodici anni che vive nella Napoli del Vomero, quella degli avvocati e dei professori, la città degli abiti firmati, delle auto belle, dove pure il dialetto è addolcito dall'eleganza di chi lo parla e la cantilena delle vocali aperte non è mai sguaiata. Ferrante è riuscita in un'impresa che sembrava impossibile a chi, come chi scrive, ha amato «L'amica geniale», e ha perso notti e sonno per seguire l'intreccio delle vi-te di Lila e Lenù: ha fatto dimenticare al lettore la storia delle due bambine che diventano donne seguendo strade opposte senza perdersi mai. Dalle prime righe del romanzo, c'è solo Giovanna con la sua casa piena di libri e i genitori che la crescono come una «pupata», una bambolina da coccolare e da vestire con abiti leziosi quando al sabato sera si va a casa degli amici.

L’APPARENZA

Una coppia innamorata, professionisti affermati e appagati. E lei è la figlia modello, bella, brava a scuola, impeccabile nei suoi vestiti rosa. Giovanna vuole essere proprio come i suoi genitori desiderano. Un'esistenza dove tutto è perfetto. Ma Giovanna capisce presto che il mondo degli adulti è pieno di falsità. E che i grandi vietano le bugie ai piccoli ma vivono immersi nelle menzogne. Sono artefatti, non dicono mai quello che pensano davvero e non sempre fanno ciò che desiderano, ma scelgono la convenienza. O l'apparenza. Giovanna scopre che l'amore non è quello del «vissero felici e contenti» delle fiabe ma «è opaco come i vetri delle finestre dei cessi». Basta poco, una parola, perché si alzi il sipario. Basta che una sera il padre e la madre si parlino in cucina, sicuri che lei sia chiusa in camera. Invece la porta è aperta. E suo padre dice chiaramente che lei sta diventando brutta come la zia Vittoria. Giovanna sente tutto, anche il silenzio di sua madre.

La cattiveria di papà e l'indifferenza di mamma. Improvvisamente i suoi genitori le diventano estranei. E avverte l'urgenza di vederla in faccia, quella zia Vittoria. Suo padre, che si era laureato e si era riscattato dalle sue origini umili, l'aveva eliminata come si estirpa un dente cariato. Giovanna vuole riappropriarsi di quel pezzo di passato che le era stato negato perché, secondo i suoi genitori, era sbagliato. Giovanna cerca le tessere per ricomporre un puzzle che - intuisce - sarà orrendo rispetto al quadretto dorato messo su dai suoi genitori. Ma almeno è autentico. La ragazzina scopre la verità «scendendo» dal Vomero, andando giù, nei quartieri più popolari, dove ancora vive sua zia Vittoria che di mestiere fa la cameriera a casa dei ricchi. E parla un dialetto ruvido e sguaiato come lei. In questo romanzo Napoli è molto più di un palcoscenico per-ché le sue mille facce racchiudono la complessità delle nostre vite. Certe esistenze apparentemente sbilenche che si muovono nei bassi o nei quartieri più degradati, sono più felici di quelle senza sbavature, prigioniere dei salotti tirati a lucido e piene di sorrisi che nascondono tristezze.

IL SESSO

Giovanna va a conoscere la zia Vittoria. È lei che strappa i fiocchi della sua infanzia e distrugge l'illusione di una vita comme il faut. Le racconta come suo padre sia attaccato ai soldi. E di come le abbia spezzato il sogno di un grande amore. Vittoria si era innamorata di un uomo, Enzo, sposato con tre figli. Per il padre di Giovanna questo legame era una stortura. Un errore gravissimo, che lui, da prof avrebbe segnato con la matita blu. Ma dopo diciassette anni Vittoria è ancora fedele a quell'amo-re sbagliato. E va da Enzo al cimitero. Parla alle sue ossa attraverso il marmo e gli porta i fiori. Zia Vittoria le ricorda che se non «chiaverà» con la stessa passione con cui lei faceva l'amore con Enzo almeno una volta nella vita, «è inutile che campa». Vittoria non sceglie le parole, non sterilizza né anestetizza. Dice le cose, anche se fanno male e sono brutte. Una sera mentre gioca sul pavimento, la ragazzina vede le gambe del migliore amico di suo padre stringere la caviglia di sua madre. Non fa domande perché le risposte, grazie a zia Vittoria, sa trovarle da sola. E capisce che pure il matrimonio dei suoi genitori è una farsa. Il romanzo finisce quando la ragazzina ha sedici anni e la sua prima volta non è esattamente come quella dei romanzi rosa. L'ultima pagina lascia quel senso di vuoto che pochi altri scrittori come la Ferrante infliggono ai lettori quando scrivono la parola "fine". E adesso aspettiamo il secondo volume perché Giovanna e la zia Vittoria sono già entrate nelle nostre vite.