Il nuovo romanzo di Elena Ferrante — La vita bugiarda degli adulti (edizioni e/o) — porta in sé una cesura netta: è come un organismo tagliato in due e la prima parte sembra reggere meglio alla scissione, resta insomma quella più palpitante di vita e di ragioni letterarie.
La protagonista, Giovanna, è un’adolescente cresciuta tra fine anni Settanta e inizi Ottanta al Vomero Alto, quartiere piccolo borghese di palazzoni e poca luce, nel culto dei genitori progressisti e studiosi. Il padre e la madre appaiono alla ragazza belli e intelligenti, un porto sicuro nel quale ripararsi per non dare spazio a quel «bisogno di degradazione» che guasterà la sua fanciullezza tranquilla. Come una Lila nata qualche lustro più avanti, Giovanna è una ragazza piena di turbamenti, spigolosa, soffre di quelle «smarginature» di cui Elena Ferrante dà spesso conto nei suoi romanzi. A volte Giovanna sperimenta una distanza dalle cose e dal reale che ricorda da vicino certi ombrosi momenti della complicata protagonista dell’Amica geniale.
Ma la tessitura del nuovo romanzo è assai più schematica di quella della quadrilogia e anche dei romanzi precedenti: è come se al mondo della Ferrante fosse stata sottratta un’ampia zona di colori e di forme, lasciando il panorama più grigio e uggioso. Così come appare meno marcata quella singolare maniera della scrittrice di rendere assoluto e significativo un dettaglio minimo di esistenza.
La vita bugiarda degli adulti è un romanzo di formazione, narra un’iniziazione realizzatasi con dolore. Il passaggio è quello che la ragazza compie tra due poli: da una parte c’è una certa classe intellettuale con le sue ipocrisie e le sue illusioni, dall’altra il popolo con la sua autenticità non priva di crudezza. Da un lato la collina, dall’altra il rione, lo stesso del suo best seller, al di là di Gianturco.
Giovanna si spinge a esplorare un altrove geografico ed emotivo e cerca somiglianze con i lati oscuri della sua famiglia. Avviene così l’incontro con la zia Vittoria, lunatica, misteriosa, sgarbata ma a tratti generosa, respinta dalla famiglia di Giovanna e relegata ai margini di una vita apparentemente felice. Ed è questa la parte più riuscita del libro: la determinazione della ragazza a rintracciare la zia detestata dai genitori, dunque innominabile, e la volontà autodistruttiva di riconoscersi in quel volto e in quella cattiveria, che sente innervata nella sua stessa carne. Al padre che la prega di non farsi convincere da Vittoria a odiarlo, Giovanna riserva un abbraccio che diventa quasi repulsione: «Un sentimento di estraneità che mi diede una sofferenza mista incongruamente a soddisfazione. Sentii con chiarezza che se fino a quel momento avevo sperato che la sua protezione durasse per sempre, ora invece, all’idea che lui diventasse un estraneo, provavo piacere. Mi sentii euforica come se l’eventualità del male – quello che lui e mia madre nel loro gergo di coppia sostenevano di chiamare Vittoria – mi desse un’effervescenza inattesa».
Nella seconda parte del romanzo la dicotomia tra i due universi si rivela inattendibile: ci sono crepe nel mondo ovattato di Giovanna e nel rapporto tra i genitori, avvengono scambi continui tra i due territori. L’abbandono del padre cambia l’assetto stesso della famiglia e anche la zia Vittoria appare sotto una luce diversa. L’orizzonte si amplia, entrano in scena altri personaggi, sembrano in qualche modo ricalcare quelli della storia di Lila e Lenù: ragazzi che parlano in dialetto, che rozzamente sperimentano il sesso, che attraggono la protagonista con la loro ruvida ammirazione. Come sempre poi, per la Ferrante, l’unico percorso verso il riscatto è quello della cultura, dello studio, che però possono rivelarsi anch’essi elementi insufficienti, meno potenti del vitalismo di certe personalità carismatiche come Lila, come Vittoria.
Infine Giovanna lascia da parte le sue insoddisfazioni esistenziali, mentre diventa centrale la figura maschile di cui la ragazza crede di innamorarsi. In definitiva i personaggi di Elena Ferrante sono ancora in movimento, compongono uno scenario credibile perché aspirano alla vita. Eppure è evidente: tra Lila e Giovanna non c’è partita.