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"La vita bugiarda degli adulti" di Elena Ferrante: la recensione in anteprima

Autore: Lara Crinò
Testata: La Repubblica
Data: 5 novembre 2019
URL: https://www.repubblica.it/robinson/2019/11/05/news/recensione_anteprima_elena_ferrante_la_vita_bugiarda_degli_adulti-240228230/

Continua a non svelare la sua identità Elena Ferrante, ma fin dalle prime frasi de La vita bugiarda degli adulti, il suo nuovo, molto atteso romanzo in libreria dal 7 novembre per le edizioni e/o, ci riporta in quel mondo - parzialmente autobiografico o totalmente fittizio chi può dirlo - che libro dopo libro abbiamo imparato a considerare suo. Un incipit in cui c'è Napoli e c'è soprattutto il legame inscindibile, ambiguo, fatalmente carico di dolore, con chi ci ha generato: "Due anni prima di andarsene di casa mio padre disse a mia madre che ero molto brutta. La frase fu pronunciata sottovoce, nell'appartamento che, appena sposati, i miei genitori avevano acquistato al Rione Alto, in cima a San Giacomo dei Capri".

Per la sfida letteraria più difficile, dopo che la quadrilogia de L'amica geniale l'ha fatta diventare la più misteriosa delle star letterarie internazionali (12 milioni di copie vendute nel mondo, traduzioni in cinquanta paesi, una serie tv di successo prodotta dall'americana Hbo con Rai, andata in onda nel 2018) il primo passo di Elena Ferrante in questa nuova storia sembra condurci in un territorio, se non familiare né amichevole, perlomeno noto. Di nuovo, come ne L'amica geniale, c'è una voce femminile che racconta in prima persona di sé appena adolescente nella Napoli del Vomero e della Zona Industriale. Di nuovo c'è l'immagine di uno spazio vuoto, scabro, difficile da decifrare, tra l'eta adulta e l'infanzia. Quel giudizio senza appello del padre sulla propria figlia, del resto, gira nella mente della scrittrice da molti anni; l'ispirazione è Madame Bovary, romanzo molto amato dalla Ferrante, in cui Emma pensa della figlia Berthe: "Strano, com'è brutta questa bambina!".

Poche pagine dopo questo inizio, però, per chi pensasse di aver di nuovo a che fare con un'Amica geniale (e quale poi delle due, Lila o Elena?), Ferrante comincia a mescolare le carte, in un gioco di inganni e autoinganni che dura fino alla parola fine. Nella Vita bugiarda degli adulti siamo sì a Napoli, ma non nell'estrema periferia, bensì in un appartamento piccolo borghese dove la dodicenne Giovanna vive con i genitori, entrambi professori di liceo: una casa piena di libri, una casa "di sinistra" di fine anni Settanta, dove fino a quel momento la protagonista è stata l'amata, coccolata figlia unica a cui viene chiesto soltanto di andar bene a scuola, perché è lo studio, e soltanto lo studio, ad aver permesso ai suoi genitori, a suo padre soprattutto, di emanciparsi dal sottoproletariato.

Basta quella frase, origliata attraverso una porta lasciata aperta per sbaglio, ad aprile la prima faglia nell'innocenza dell'infanzia. Perché, scopriamo dopo, Il padre di Giovanna ha detto che lei è destinata a diventare non solo molto brutta, ma brutta come zia Vittoria, sua sorella. E chi è Vittoria? E' la zitella che fa i servizi in casa dei "signori", quella che non si è emancipata e che con il fratello ha tagliato tutti i ponti, che vive ancora nella povera casa della Zona Industriale, amando un uomo non suo morto da anni. Giovanna, inevitabilmente, vorrà scoprire se è vero che il suo destino è la bruttezza - e quindi l'abiezione, l'amarezza e, ciò che è peggio di ogni altra cosa, la povertà - della zia Vittoria.

Da questo incontro, dalle bugie tra suo padre e sua zia, dalle verità parallele con cui entrambi hanno puntellato la propria vita, parte il viaggio sghembo di Giovanna verso l'età adulta. Così questa ragazza forse non bella ma dalla mente aguzza scopre che la Napoli borghese dei professori impegnati che vogliono scrivere sui giornali nasconde un'altra Napoli, sboccata e volgare, disperata e vitale di cui non le è mai stato detto nulla, come se solo sentirla nominare potesse contaminarla. Scopre che nonostante l'educazione sessuale sia il mantra dei suoi anni, il sesso non assomiglia a niente di ciò che poteva lontanamente immaginare. Scopre che gli adulti mentono, mentono tutti, soprattutto coloro che dicono di volerti bene. E che si tradiscono continuamente, senza aver il coraggio di lasciarsi del tutto e nemmeno quello di smettere di amarsi.

Scoprirà di essere, dall'inizio alla fine, "un garbuglio". La incontriamo a dodici anni, Giovanna, e la lasciamo, alla fine del romanzo, a sedici. Durante la sua adolescenza la sua famiglia si sfascia, e lei apprende che si può sopravvivere alle menzogne dei grandi imparando a mentire, ferendoli con le parole, cercando altre strade, tentando di innamorarsi dell'unico che sembra più intelligente, più puro, più affascinante del proprio padre. Mentre ci pare di star seduti, come Giovanna, sul sedile posteriore di una scalcagnata Cinquecento che sobbalza tra la polvere delle periferie e l'aria tersa di Posillipo, in una storia che sembra assolutamente privata, Ferrante riesce a raccontare non solo il presente ma anche l’infanzia della protagonista e la giovinezza dei suoi genitori, la fine degli anni Settanta, le illusioni, le pose, i miti di quegli anni con la stessa lucidità con cui, nell'Amica Geniale, ci aveva portato negli anni del boom e poi nei decenni successivi.

Vediamo la Storia recente come dallo specchietto retrovisore, e intanto, inevitabilmente, ci scopriamo a cercarla, come si insegue un fantasma, nelle movenze d'un personaggio, nei gusti d'un altro, nell'espressione dialettale, o coscienziosamente italiana, di un'altro ancora. E finiamo col chiederci, ancora una volta: chi è Elena Ferrante? sapendo che non c'è risposta, se non nella risata adolescente, come d'una ninfa o d'un folletto, che sembra risuonare alla fine di questo strano e bugiardo romanzo.