Un estratto dalla conversazione sulla libertà delle donne tra Anna Maria Verna e Simone de Beauvoir, avvenuta nel 1977 per la rivista Ombre rosse, e appena pubblicata da Edizioni e/o nella sua versione integrale.
(Anna Maria Verna) C’è chi sostiene che la liberazione delle donne non può avvenire disgiunta dalla liberazione dell’uomo. A questo proposito Susan Sontag ha scritto che, per quanto l’idea possa sembrare ragionevole, non è affatto vero che la liberazione dell’uomo e la liberazione della donna siano due parti di un reciproco processo. Secondo Sontag questo luogo comune sfiora vergognosamente la dura realtà del dominio maschile che è a tutto vantaggio dell’uomo. Lei che cosa ne pensa?
(Simone De Beauvoir) La liberazione delle donne non si farà che con il cambiamento della società tutta intera e, di conseguenza, anche con il cambiamento degli uomini. Ma penso che per ora le donne debbano preoccuparsi prima di tutto della loro liberazione ed è perciò che hanno ragione di incontrarsi in gruppi abbastanza chiusi per parlare dei loro problemi. Se invece lei vuole discutere del potere, questo è un altro aspetto del problema molto interessante; se si tratta infatti semplicemente, come in certi gruppi americani, per esempio in quello di Betty Friedan, di ottenere che le donne abbiano delle promozioni equivalenti a quelle degli uomini conservando la loro funzione femminile, la cosa non è di nessun interesse per il femminismo; dire di nessun interesse è esagerato, si deve sempre un po’ mediare – ma l’interessante del movimento femminista non è che ci sia un certo numero di celebri donne avvocato, chirurgo o medico, che ci sia una donna presidente della repubblica negli Stati Uniti e in Francia, non è esattamente questo il problema, è la sorte di tutte le donne in generale ed esse non guadagneranno un granché se avranno qualche donna privilegiata e d’élite che arrivi a essere Indira Gandhi o Golda Meir; non ho niente contro di loro, non sono contraria al fatto che ci siano delle donne alla testa di uno Stato, ma non è questo che aiuta le donne.
Si è spesso sottolineato, ed è del tutto normale, sarebbe un’ingenuità stupirsene, che quando una donna ha il potere, ne usa esattamente come un uomo: non è differente da loro, anzi spesso è più tirannica, perché per lei è un fatto talmente nuovo e importante avere il potere che finisce quasi per essere peggiore degli uomini. Ma questo fa sorgere una questione pratica e, a mio parere, molto importante che io stessa pongo del resto ai gruppi delle mie amiche, perché se, nel medesimo tempo, si è radicali e rivoluzionarie, come sono i gruppi delle femministe che io conosco, se si è per il rovesciamento e il rifiuto di questa società, ebbene, sostituire semplicemente un potere femminile a quello maschile non ha nessun significato, non è questo che occorre. D’altra parte se si rifiutano le promozioni, se si rifiuta il potere ci si impediscono molte cose che potrebbero aiutare la liberazione delle donne. Allora si potrebbe dire che quando una donna accetta di avere del potere per aiutare la liberazione delle altre donne, sta bene, ma se ne fa una semplice gratificazione narcisistica, allora il potere la allontana dalle altre donne e finirà per non capire perché ci sono delle lotte femministe.
Per questo le avevo detto di andare a discutere con donne che abbiano un certo potere in certe sfere; le citerò, amichevolmente, Rossana Rossanda, la quale ha un certo potere in Italia, giustamente meritato per la sua azione politica e che non sarebbe certamente questione di toglierle, perché credo sia bene l’abbia, ma che la conduce a misconoscere la specificità della lotta femminista, inducendola a pensare: “Dopo tutto ogni donna può avere nello stesso modo un certo potere, può riuscire, non ha che da sbrigarsela da sola...” senza rendersi conto che non è assolutamente una posizione individualista che conviene assumere in questo caso, visto che si tratta della metà della popolazione del mondo e anche più della metà. Certamente, però, il rapporto con il potere crea un problema molto serio. Molte compagne si domandano: “Bisogna o no mirare in alto, oppure ci si deve accontentare di mirare in basso?”.
Perché se si mira in alto si rischia di essere prese nell’ingranaggio del potere; le donne, per esempio, che vogliono fare della ricerca fanno benissimo, ma i bilanci della ricerca, i lavori che saranno loro proposti saranno più o meno diretti da uomini. D’altra parte se nessuna donna che sia veramente capace se ne occupa, allora non si vedrà mai un cambiamento della medicina, ad esempio, che permetta di trattare di problemi femminili in altro modo. Forse può darsi che si debbano inventare altre cose, come per esempio fanno i self-help negli Stati Uniti, cioè non chiedere che le donne diventino dei medici celebri, ma fare in modo che delle semplici donne medico aiutino altre donne a conoscersi, a fare della medicina un po’ come, secondo quello che si racconta, fanno i medici scalzi in Cina. In sintesi si può dire che c’è un buon uso e un cattivo uso del potere per ciò che riguarda le donne. Io comprendo molto bene che molte abbiano grossi dubbi, perché da un punto di vista femminista avere il potere è necessario, ma nello stesso tempo molto pericoloso.
Estratto da Simone De Beauvoir, Sulla liberazione della donna, a cura di Anna Maria Verna, Edizioni e/o, 2019. Per gentile concessione dell'editore.