Che cos’è che ci definisce? Cos’è che nel corso di una vita ci aiuta a plasmare la nostra identità? Le nostre radici, dove nasciamo, chi ci cresce, chi ci istruisce, chi ci ama, chi ci odia, chi incontriamo, chi viene a mancare? Viviamo nel presente? Nell’attesa di un futuro che non vediamo arrivare? O restiamo ancorati ad un passato dal quale non ci sappiamo liberare? Perché è parte di noi, da lì sgorga la nostra essenza, in esso sappiamo riconoscerci? Di esso non possiamo fare a meno?
“la mia identità non è solo quel che percepisco, è ciò che percepisce la gente.”
Luca ha perso la madre molto presto a causa di una malattia. È cresciuto con il padre, il professor Carlo Maria Balestri, un antropologo con una discreta fama. Ognuno con il proprio carattere hanno imparato a ricostruire la loro vita attorno al ricordo della donna. Hanno sperimentato il silenzio, la resa nei litigi, a godere delle piccole cose, a riconoscersi e a sentirsi unici nei tratti somatici della famiglia. Il padre è l’uomo che lo ha “formato, istruito, protetto, consigliato, guidato, vestito, amato”.
Durante una cena le forze dell’ordine irrompono in casa arrestando il padre di Luca, accusato di aver tenuta prigioniera una bambina per quattordici anni. Gli viene attribuita anche la scomparsa di altri bambini che però non sono mai stati ritrovati.
Inizia, per Luca un processo di riscoperta di sé alla luce di questo fatto sconvolgente che spezza ogni equilibrio raggiunto con fatica negli anni.
Inizia, per lui un viaggio nel passato tentando di togliere il velo dalla realtà così come lui l’aveva vissuta in cerca di qualche indizio che avrebbe potuto fargli intuire il male che si nascondeva dentro il genitore. Inizia, a pensare al perché lo abbia fatto, a rimuginare sul come ci sia riuscito, sul modo in cui abbia agito e a chiedersi se qualche traccia di questa essenza malefica che il padre porta dentro sé possa affiorare in lui come una sorta di eredità genetica. Inizia a mettersi sulle tracce di Laura, la bambina sequestrata quando aveva otto anni e che è stata liberata per caso quando ne aveva ventidue. La segue perso in una sorta di curiosità morbosa alimentata dalla necessità di sapere perché il padre abbia passato anni ad osservarla e se lei sia riuscita a ricostruirsi una vita dopo la tragedia che l’ha investita, perché nel momento che lei è stata liberata lui si è ritrovato rinchiuso, in un incubo.
Sacha Naspini torna in libreria con “Ossigeno”, un romanzo che trascende i generi. Un romanzo che parla di ciò che viene dopo, che cerca di indagare le tracce che il male lascia nelle vite che intacca. Una storia che non è univoca ma che respira a pieni polmoni, con diversi ritmi, nel petto di chi l’ha vissuta. Agli occhi del figlio, che vede crollare, impotente, ai propri piedi, il senso di un’esistenza nella misura in cui l’aveva eretta attorno alle proprie radici e al rapporto con il padre. Agli occhi della vittima che non riesce più ad esistere al di fuori delle sbarre in cui è stata rinchiusa troppo a lungo. Agli occhi della madre della bambina rapita che ha dovuto lasciare che un’assenza fosse l’unica presenza costante giorno dopo giorno, accecata dal dolore nel quale riusciva a sentirsi viva. Agli occhi dell’amica di Laura che alimenta il senso di colpa come espiazione per la scomparsa della compagna di giochi.
Sacha Naspini usa la penna con abilità per portarci dentro alle vite dei suoi personaggi, per lasciarci scrutare tra le ombre che le avvolgono, spronandoci a sporgerci sempre più avanti sui loro animi come sull’orlo di un abisso e quando siamo lì in bilico non ci dà pace, non si accontenta e ci interroga di continuo portandoci al limite e ogni volta spostandolo un po’ più avanti. L’autore costruisce la sua personale gabbia intorno a noi e ci fa sentire che sia proprio questo ciò di cui abbiamo bisogno: un luogo circoscritto con una limitata libertà ma che infonde un senso di protezione, di sicurezza, dove tutto ha un ruolo e uno scopo preciso, dove non ci sono ostacoli o imprevisti capaci di metterci in difficoltà.
Un romanzo in cui seguire la traccia segreta di un passato; in cui è necessario rompere il ponte che ci lega a ciò che è stato; abitato da verità alle quali non si vuole credere, proprio non si può; in cui si cerca di separare la percezione di se stessi da quella che ci attribuiscono gli altri; in cui si anela all’estraneità e all’invisibilità tra strade piene di volti e di passi; in cui le domande sono un nodo attorno al quale costruire la propria identità; in cui esistono distanze che non possono essere colmate, dove sparire è l’unico modo per ritrovarsi.