Riportare alla luce vicende del passato che ancora risuonano nell'attualità. Raccontare la storia a altezza d'uomo, attraverso la narrativa. È questo che pare interessare di più allo scrittore e cineasta di Lione Éric Vuillard, vincitore del Goncourt 2017 con L'ordine del giorno (in italiano tradotto da Alberto Bracci Testasecca per e/o) in cui narra l'annessione dell'Austria da parte di Hitler. Ma anche di numerosi altri premi con libri che spaziano dalla storia coloniale del Congo - il “giardino” che fu proprietà privata di Leopoldo re del Belgio - alla conquista del West, all'America precolombiana. Ultimo arrivato nelle librerie italiane è La guerra dei poveri (tradotto da sempre Bracci Testasecca per le edizioni e/o, pagg. 96, euro 7,99). Qui il tema è quello molto attuale della rabbia generata dalle disuguaglianze, raccontato però attraverso la figura del prete rivoluzionario Thomas Müntzer (c. 1489-1525), condottiero dei disperati durante le rivolte contadine che infuriarono nella Germania dei primi anni del Cinquecento (e prima nele campagne inglesi del Trecento e del Quattrocento). Guerre dei poveri che, schiacciati dai nobili e dal clero, iniziano a chiedersi perché Dio, il dio dei poveri, ha bisogno di tanto sfarzo? Perché i suoi ministri hanno bisogno di tutto quel lusso? Perché Dio è stranamente sempre dalla parte dei ricchi?
Qual è - chiediamo a Éric Vuillard, incontrato a Mantova durante Festivaletteratura - la storia di questo strano prete, e perché ha deciso di raccontarla?
Thomas Müntzer, il mio protagonista, è stato un predicatore tedesco morto quando era ancora giovane - aveva circa 35 anni - che ha partecipato a un episodio marcante della storia della Riforma, quelle che vengono comunemente definite come “rivolte contadine”, ma che in realtà furono la sollevazione dell'uomo ordinario. Il partecipanti erano infatti molto eterogenei, fra loro vi erano ad esempio anche i commercianti. Müntzer era un intellettuale, un teologo, un prete - all'epoca erano questi gli intellettuali. E, cosa relativamente rara, era di estrazione sociale povera. La sua famiglia subì l'arbitrarietà del conte di Stolberg (il paese della Sassonia dove nacque, ndr): suo padre fu messo a morte dal conte, non si sa se gli tagliò la testa o lo impiccò, ma quel che si sa è che lo fece per ragioni ideologiche. La famiglia visse all'ombra di questa condanna e della povertà che ne scaturì. I figli e la moglie furono marginalizzati e questo determinò in Müntzer una doppia fedeltà: alla miseria che conobbe molto bene e a suo padre. Si rivoltò contro il potere. Ma non divenne un uomo rigido. Molti intellettuali hanno guardato con simpatia ai poveri, ma è rimasto un rapporto gerarchico, la loro era condiscendenza. Alcuni di loro presero veramente le parti dei poveri, penso a Victor Hugo, a Émile Zolà, a Carlo Levi. Eppure, nonostante tutto, nella maggior parte dei casi non provenivano da quella classe sociale, le loro condizioni di vita erano molto diverse da quelle che descrivevano. Hugo non è un miserabile che scrive sulla miseria. La letteratura, come il sapere, in quel caso viene dall'alto, è lei che produce sapere sui miserabili, non sono i miserabili che insegnano qualcosa alla letteratura. Il caso di Müntzer è molto diverso, e per questo mi ha interessato tanto. Lui è un prete che si convince delle tesi di Lutero, ma a differenza di quest'ultimo, che sta fermo, il mio protagonista è un prete itinerante. Predica nelle parrocchie più povere, sente le rivendicazioni di carattere sociale del popolo tedesco e dunque viene riformato una seconda volta. Ha una crisi intellettuale, si separa da Lutero. L'essenziale della sua dottrina viene dai poveri, sono loro che gli hanno fatto cambiare modo di pensare. Il suo è un punto di vista molto democratico. E questo l'ho trovato molto interessante perché anche la letteratura ha una vocazione molto democratica, quella di parlare al più gran numero. Müntzer si rivolge alla maggioranza, partendo da idee che sono state prodotte o influenzate da loro. Dunque in un mondo come il nostro, dove le disuguaglianze sono molto grandi e le persone hanno sempre più la sensazione di essere dispossessati dal potere di decisione democratico, hanno la sensazione che questo sia troppo lontano da loro, è interessante raccontare la storia di un prete che rappresentava le persone in un modo totalmente diverso.
Quali sono state le idee più rivoluzionarie che Müntzer ha sviluppato?
Il suo è stato un ritorno a un cristianesimo primitivo contro il pensiero egemonico dell'epoca. Con il cristianesimo delle origini è entrato in rapporto con il popolo che chiedeva la riduzione delle terribili disuguaglianze. Con Müntzer il ritorno al cristianesimo primitivo si associa a un movimento sociale e politico molto forte. I principi ugualitari servono a unire i poveri contro il potere centrale .Poco tempo fa stavo leggendo un libro di un paleografo italiano, Armando Petrucci, che diceva che uno degli indizi per valutare l'uguaglianza è l'uguaglianza davanti alla morte scritta, il fatto cioè che la nostra morte lasci una traccia. La morte dei poveri non lascia tracce, né nei documenti né nell'architettura. Ci sono solo due momenti di uguaglianza, nella storia dell'umanità. Uno è nella prima guerra mondiale, dove tutte le tombe dei soldati sono uguali. Non c'è nulla sulla terra che testimonia l'ugualità degli uomini più dei cimiteri della prima guerra mondiale. L'altro sono le catacombe cristiane.
Si è accostato alla storia di Müntzer dal punto di vista di un laico o di un credente?
Da un punto di vista prettamente laico. Ogni periodo storico esprime le necessità politiche e sociali nella lingua del suo tempo, allora la lingua era il cristianesimo, la teologia. È per questo che Lutero e Müntzer sono teologi e scrittori. Müntzer lo potremmo prendere per un fanatico religioso, ma invece era il contrario, la componente essenziale del suo pensiero era sociale e politico, la sua era una laicizzazione della religione cristiana, una secolarizzazione.
Il romanzo può essere una forma di indagine storica?
Io scrivo racconti, non romanzi. Siamo abituati a presentare la letteratura come fiction, ma questa è una visione ideologica della letteratura. I Promessi sposi erano molto realisti, molto di più rispetto all'Ariosto per esempio. Anche in Carlo Levi, Vittorini, in Fenoglio l'intenzione di raccontare la realtà è molto forte. Sono le circostanze che l'anno portato a questo: dopo la guerra la gente voleva capire quel che sarebbe successo. Non è il passato che ci illumina, siamo noi che illuminiamo il passato. È a partire dal presente che il passato si modifica, che cambia il rilievo dei fatti. Per esempio nel mio precedente libro, L'ordine del giorno, si parla di come i grandi imprenditori tedeschi e austriaci sostennero l'arrivo al potere del regime autoritario di Adolf Hitler a Berlino e poi a Vienna. La concentrazione del potere economico indebolì quello politico. Mai come oggi concentrazione del potere economico e politico è stata tanto elevata: uno scrittore odierno ha pertanto interesse a esaminare gli avvenimenti economici che si sono prodotti prima della seconda guerra mondiale, che non furono solo la crisi del ‘29. La letteratura deve parlare dei temi economici del passato se vuole parlare al nostro presente. Certo, possiamo scrivere sul presente o sul passato. Io come lettore preferisco leggere libri che mi raccontano fatti reali del passato piuttosto che un romanzo che mi racconta dei fatti inventati sul presente. Tolstoj era un aristocratico, parlava dei milieu sociali che conosceva, poteva nutrire il suo libro di informazioni di prima mano. Oggi invece uno scrittore che decide di scrivere sull'élite del suo tempo non può scrivere di una riunione di industriali e politici, non vi ha accesso. Allora o inventa una storia, ma rischia di non essere soddisfacente, o si volge al passato e cerca similitudini in fatti veramente accaduti, come ho fatto nei primi due capitoli dell'Ordine del giorno, dove racconto la riunione segreta del 20 febbraio 1933 in cui Hitler, appena raggiunto il potere incontra 24 dei più grandi industriali tedeschi e negozia con loro la fine della Repubblica di Weimar, facendo loro promesse economiche.