«Gli esasperati sono così, un bel giorno sgorgano dalla testa dei popoli come i fantasmi sbucano dai muri». In alcuni momenti della Storia la loro azione diviene impetuosa, la loro ira indifferibile. È quanto accade nel contesto delle più significative sommosse popolari, fra cui quella capeggiata in Germania dal prete tedesco Thomas Müntzer, icona del Cristianesimo rivoluzionario, nei primi anni del Cinquecento, ripercorsa ora nel nuovo romanzo dello scrittore e cineasta francese Éric Vuillard, La guerra dei poveri ( Edizioni e/ o), già vincitore del Premio Goncourt per il precedente L’ordine del giorno.
A differenza delle guerre più celebri, alcuni conflitti popolari non hanno sortito grande eco nelle pagine dei libri di storia. Ritiene la parabola di Thomas Müntzer particolarmente significativa e attuale?
Gavroche muore cantando su una barricata: ciò continua a riecheggiare fino ai giorni nostri. La guerra dei poveri è una guerra non ancora giunta a termine. Il mio libro è il racconto di una sommossa avvenuta nel 1525, cominciata a causa di una corvée, di una imposta supplementare. L’ingiustizia fiscale è una vecchia storia, molto spesso il motivo scatenante di rivolte che ne contestano in maniera radicale l’ineguaglianza, in quanto l’ineguaglianza è un problema generale, una struttura elementare delle nostre società, pur non avendo essa nulla d’ineluttabile. Il fatto che I miserabili sia uno dei romanzi più letti dimostra che i lettori ne siano bene a conoscenza. Hanno preso sul serio il titolo del libro.
Ai “sermoni infiammati” di Müntzer fanno oggi da contraltare le invettive dei populismi e delle nuove destre. Come giudica la vocazione e l’attività di questi nuovi predicatori?
Questi nuovi predicatori sono sfortunatamente riusciti a infondere le loro idee all’interno delle prassi giuridiche di molti Stati. Ciò contro cui i cittadini oggi dovrebbero battersi non sono i regimi ditattoriali, come negli anni ‘ 30, bensì gli spazi di non- democrazia che allignano all’interno delle democrazie stesse. Il mandato di arresto europeo, ad esempio, è una procedura in cui avvocati e magistrati sono ridotti quasi alla stregua di comparse. Non hanno modo di esercitare le proprie prerogative, di attuare quelle funzioni di contropotere e controllo che dovrebbero essere loro appannaggio.
Per Müntzer, rivolgersi al popolo non in latino ma nella lingua corrente è un modo efficace per sposarne la semplicità. Cosa ne pensa del linguaggio popolare e accessibile utilizzato dalla politica odierna?
La lingua non è soltanto un mezzo di comunicazione, è una totalità oscura, e i sapienti studi condotti da Marcel Schwob sull’argot testimoniano come il linguaggio corrente non sia affatto sempre il più semplice. Il discorso politico è attualmente vagliato, controllato, elaborato da esperti della comunicazione; il suo alto livello di controllo formale diviene immediatamente chiaro. Da questo punto di vista, esso rientra nell’alveo della narrativa. Dopo tutto, potremmo definire l’essenza della narrativa a partire dal teatro, dalla sua struttura elementare. Il teatro è un testo scritto, pronunciato in scena da un attore come se ne fosse esso stesso l’autore, come se gli parlasse; si tratta naturalmente di una convenzione. I nostri rappresentanti sono tenuti a rivolgersi direttamente al popolo, a essere autori dei loro discorsi, ma esiste un filtro, una sovra- correzione; i loro discorsi sono scritti da altri, è quel che si chiama “la lingua di legno” [ linguaggio che utilizza parole vaghe, ambigue o astratte per distogliere l’attenzione dai problemi principali, Ndr.]. Come i morti in Agli dei ulteriori di Giorgio Manganelli, si ode appena quel che dicono, non si avverte altro che il controllo.
Thomas Müntzer, Jan Hus, John Wycliffe e altri, anche se afferiscono a una prospettiva cristiana, non si riconoscono affatto nella fisionomia e nella prassi della Chiesa dell’epoca. Cosa ne pensa circa l’operato della Chiesa ai giorni nostri, per quel che concerne la lotta contro le diseguaglianze sociali?
Visto che abbiamo appena chiamato in causa il linguaggio, mi sembra che espressioni come «siamo tutti artigiani dell’avvenire» o «non lasciare nessuno indietro», presenti in un messaggio indirizzato dal Papa al Direttore generale dell’ONU per l’alimentazione e l’agricoltura, esprimano un discorso altamente controllato, ovvero scritto da esperti della comunicazione. Ecco che ciò instilla un primo dubbio circa la reale determinazione delle sue intenzioni. Si tratta di un discorso generale, inoffensivo.
Ha scritto che «le fantasie sono una delle vie della verità». Tenuto conto della sua produzione, ritiene che la letteratura possa essere complemento vitale e necessario della storia? Illuminare i suoi angoli bui?
Non posso conoscere, provare certe cose che scrivendone, abbandonandomi alle parole. Si può scrivere un romanzo alla maniera di Agatha Christie: tredici persone salgono in una carrozza che rappresenterebbe una presunta sintesi del mondo, stando alle parole dell’autrice. Un mondo senza operai, senza impiegati d’ufficio, senza vagabondi, un mondo di contesse e bauli di cappelli, un mondo chiuso, risanato dalla letteratura. D’altronde, una volta risolto il delitto, non sussiste più alcun malessere, alcuna anomalia. L’enigma non lascia avanzi. Un mondo racchiuso in un fazzoletto. Una volta risolto Assassinio sull’Orient Express, la storia è bella che terminata. Al contrario, la forza dei Miserabili, il romanzo di Victor Hugo, sta nel fatto che, una volta chiuso il libro, la storia continua. Jean Valjean è ormai morto, Cosette sposata e fuori pericolo, ma la storia che questo libro racconta, in ultima istanza, non ha mai conosciuto una vera conclusione. Lo stesso Victor Hugo ha scritto questo romanzo come fosse un libro che non può realmente finire, come un libro che sarà concluso solo più avanti, e concretamente, dagli uomini tutti. La forza del romanzo proviene dall’essere stato scritto in ugual misura come una storia dedicata all’emancipazione nella sua essenza più inclusiva. Si potrebbe fare la stessa analisi mettendo a paragone La città antica di Fustel de Coulanges e Storia della colonna infame di Alessandro Manzoni.
La città antica non ci compromette, la sua lettura ci lascia indenni. Al contrario, il piccolo libro di Manzoni esige qualcosa da noi, ci racconta una storia che sfortunatamente non si è mai conclusa, quella dell’ingiustizia. La letteratura non è un complemento alla Storia, non è soltanto un supplemento d’anima, ma un mezzo di conoscenza.