Dico: «Ci sono voluti quasi tre lustri per chiudere quella ferita. Non ero pronta. Devo ricominciare tutto da capo». Nel sottofondo sconcio di me c’è una matta che strepita giorno e notte: quella figlia non doveva tornare. La sua ricomparsa è uno schiaffo al lavoro fatto per salvarmi. (p. 147)
Non è solo affrontare il tema dello sconosciuto della porta accanto, quell’uomo distinto e intelligente, sempre così educato e che salutava sempre, che insegna antropologia all’università e nessuno sospetterebbe mai essere dietro al rapimento di (almeno) una bambina di otto anni: Ossigeno non indaga solo questo delicatissimo tema – il tema della doppia personalità, di una società dell’apparenza, di una mente criminale che solo il caso fortuito porta alla condanna – quanto piuttosto si ritrova ad analizzare il tema del ritorno e dello spaesamento.
La domanda che sembra percorrere tutto il romanzo, infatti, è una: in che modo ci si può reinserire in società dopo un evento traumatico, nel caso specifico un rapimento durato quattordici anni e che dunque ha coinvolto tutta la fase della formazione? Si badi bene: quando scrivo in che modo non intendo chiedere come sia possibile, ché alla fine lo vediamo ogni giorno come le persone (alcune almeno, si spera la maggior parte) riescono a riprendersi la propria vita dopo un’esperienza di morte in senso lato; intendo piuttosto con quali modalità una persona è in grado, affrontando il trauma o fuggendo da esso, di tornare.
Insomma, ci domanda Naspini: quali sono i meccanismi di difesa degli esseri umani? E quanto è precario l’equilibrio del ritorno?
Ossigeno ci offre diverse risposte: l’ossessione di Luca, figlio del Dott. Ill.mo Professor nonché Rapitore Carlo Maria Balestri, il quale in qualche modo sente di dover espiare una colpa non sua (emblematica è la frase riportata in quarta di copertina: “Il punto non è che mio padre è mio padre. Il puto è che sono suo figlio”); il rifiuto della madre di Laura, la quale dopo anni è riuscita a farsi una ragione di questa scomparsa e, riavuta la figlia, si trova a pensare che «quella figlia non doveva tornare»; il senso di colpa della miglior amica d’infanzia di Laura, che dopo tanto tempo ancora pensa a quel giorno fatale in cui, entrambe bambine innocenti, l’ha costretta a uscire di casa.
C’è poi la risposta di Laura stessa, un personaggio che da lettori percepiamo prima attraverso gli occhi degli altri, che sembrano seguirla per le vie della città e chiedersi come faccia a comportarsi in modo così normale da risultare reale. D’altronde è logico: Laura è una ventiduenne a cui è stata rubata la vita, è normale voglia tornarne in possesso. Affascinante è anzi osservarne il rapporto con la tecnologia: nel 1999 internet era agli albori, i pc erano enormi scatoloni portatori di programmi lenti e farraginosi; non esisteva YouTube, non c’era Facebook, il mondo, per quanto possa sembrarci strano, era un posto diverso. E qui torna la domanda: come ci si reinserisce in una società trasformata, diversa, lontana, esperita solo indirettamente attraverso le quattro pareti di un container?
Eppure in qualche modo – non senza ferite che si riaprono, non senza incubi, non senza terrore – si fa.
Naspini è fenomenale nella capacità di entrare nei panni dei personaggi, nel pensare con loro, nel soffrire – e nel farci soffrire – con loro, nel farci vivere i dubbi e le incertezze. Ossigeno è un romanzo corale duro, spietato, che non offre spiragli di salvezza. È uno di quei testi da affrontare con lo stomaco saldo e la fortezza nell’animo per resistere allo sguardo oscuro dell’abisso.