C’è un filo di imbarazzo quando inizi a leggere il nuovo libro di un autore che adori. In particolare, poi, se è diventato anche un tuo vero amico che, in più, tiene laboratori di scrittura a Montevaso, l’agriturismo per seminari sulla comunicazione che è casa tua, che organizzi e dove impari cosa significa davvero scrivere. Per chiudere il cerchio, il suo precedente romanzo ‘Le Case del Malcontento’, sempre per e/o, già consigliato e recensito proprio per questa rubrica, è sul podio dei libri più belli, per te, dell’ultimo anno. Hai una leggera inquietudine addosso: e se non ti piace, se ti delude? Inizi a leggere e ti sorprendi: è un’altra cosa dal precedente, totalmente diverso, eppure con lo scorrere delle pagine senti un’impronta, una traccia, un morso che ti riconducono là, dove solo i grandi scrittori ti portano, dentro il pozzo delle tue ombre. Naspini è un maestro. Punto e basta. Cambia registro, linguaggio, atmosfera, temperatura, ritmo, ma ti tiene lì, incollato alla pagina e ti fa male. Ti spinge a farti domande, a indagare dentro di te. A fare i conti con le tue debolezze e così ti cambia, perché esci dalle pagine con più consapevolezza.
La storia: ci sono un padre e un figlio che cenano in casa, tranquilli, ma irrompe la polizia che porta via l’uomo; lui è il mostro del golfo, che rapisce le bambine e le mette nei container. L’hanno beccato, perché ne hanno trovata una, per caso, Laura, che c’è stata per quattordici anni. Reclusa, imprigionata, ma mai toccata, nemmeno sfiorata. Questo è quanto.
Mi viene da pensare che molti avrebbero proseguito da questa spunto cercando di analizzare la mente contorta del sequestratore, il rapporto che si crea con la vittima, il processo, la condanna, il carcere. Sacha Naspini, no. Carlo Maria Balestri esce di scena dopo le prime pagine e non torna più, se non come ombra, ricordo nei racconti di chi è rimasto e deve fare i conti con questa scoperta. In primis, il figlio, Luca, che si macera, alla ricerca di un segno nel passato che possa spiegare la doppia vita di suo padre. Che si domanda se e quanto possa essergli rimasto dentro, visto che è lo stesso sangue. Quanto pesa il ‘DNA psichico’?, usando un’espressione coniata negli uffici stampa della casa editrice. Luca è prigioniero di questa scoperta e non riesce a vivere un’esistenza libera. Inizia a pedinare Laura, la ragazza sopravvissuta, ma non trova, comunque il bandolo della matassa. E poi c’è lei, appunto, che si trova catapultata in un mondo che conosce attraverso i libri, il computer che il suo aguzzino le permetteva di usare, ma che, ogni tanto, si fionda dentro un bagno di un bar e ci resta anche per più di un’ora, chiusa, al buio. E la madre della ragazza che se la trova di fronte dopo tutto questo tempo e non sa come reagire: è contenta o troppo scombussolata per accoglierla di nuovo dentro la propria vita che, lentamente, stava riannidando una parvenza di normalità?
Questi percorsi si dipanano con la figura del mostro in filigrana che ha segnato, marchiato a fondo ogni storia e il tatuaggio è indelebile. La prima parte è attraverso gli occhi di Luca; la seconda – spettacolare – da Laura dentro il container; la terza dalla mamma della reclusa; la quarta da un’amica di Laura, di quando era bambina; la quinta, da Laura fuori e la sesta, il finale, con una proiezione nel futuro.
Chi ha rinchiuso chi? Quante gabbie invisibili ci creiamo intorno? Qual è il senso della libertà? Come si fa ad andare avanti, quando non puoi fare altro? Come sono le parole, i gesti nelle intenzioni di chi comunica rispetto a quello che arriva dall’altra parte? Perché nessuno resiste a voler vedere cosa succede quando qualcuno inizia a precipitare?
Questi gli interrogativi che la storia pone e ai quali non è facile dare risposta. Ma sono punteruoli ficcati nel costato, che ti spingono a cercare e a scoprire. A lavorare su te stesso. Per dare un nome, un colore più preciso alle tue emozioni, ai tuoi turbamenti.
Con uno stile asciutto, quasi cinematografico, l’autore ci conduce in un labirinto dove ogni passo si avvita su se stesso, ma nessuno torna indietro, perché tutti vogliono scoprire dove si arriva e fino a quando possono resistere.
Gran bel libro. Con una conclusione inaspettata, che ti inchioda al libro e ti pone ancora più domande, apre squarci e tagli, in un’ottica disturbata che è, alla fine, l’unico approdo. O forse quello più adatto a sostenere l’assurdo che si muove nelle nostre esistenze.
Buona lettura.
Alcune frasi:
‘Come tutti ero il risultato di tante strade, di infinite coincidenze che avevano mosso il mondo in una certa direzione. Un’evidenza che si rifletteva in ogni cosa, dal tipo di giacca che indossavo, all’algebra con cui mettevo in fila i pensieri.’
‘nel buio eterno di uno scatolone massiccio, quello delle ipotesi mai realizzate.’
‘Cercare l’estraneità può essere pericoloso: rischi di trovarla.’
‘Un insetto stecco./Lo osservai per qualche minuto./Poi fui sul punto di soffiarlo via, ma una cupola di vetro calò dall’alto./ “Vediamo cosa fa.”
‘Sorprendersi a pensare agli attimi tristi per stare meglio le fa scoppiare le bombe nella pancia.’
‘Il meglio che la gente sa fare non è poco, anche quando gli altri si aspettano di più.’
‘Avevamo ricevuto un colpo di vento che aveva buttato giù tutto. Camminavamo su macerie impossibili.’
‘Negli anni della perdizione, il dolore è servito a portarmi sui libri. Non erano rimedi totali. Solo il tentativo di dare un nome alla tempesta. Mi ero accorta di una magia: le pagine sono in grado di scatenare domande enormi, che comunque contengono tante risposte piccole, semplici.’
‘A volte ci sono distanze che diventano scudi: non possono più essere tradite.’
‘È in una scatola. Anzi no: sono gli altri a essere rimasti chiusi fuori.’